Seicento secondi di coraggio
(LA REPUBBLICA, Torri) Seicento secondi. Potrebbe essere il titolo di un film. Sono i dieci minuti finali della Roma a San Siro. Quelli che possono cambiare il destino di una stagione. Non tanto, paradossalmente, per il punto conquistato quando neppure il più ottimista dei tifosi ci sperava più. Quel punto è quasi una questione secondaria, anche se non lo è visto che ha consentito ai discepoli dello Special One di rimanere aggrappati alla zona Champions in un turno in cui il calendario diceva che c’era il concreto rischio di perdere punti e posizione.
No, il punto cruciale è stato ed è un altro. Quei 600 secondi. In cui si è visto quello che può essere la Roma se gioca per vincere piuttosto che per non perdere. Come era stato fino al raddoppio rossonero. I due gol del pareggio, i campioni d’Italia messi all’angolo dalla sfacciataggine di una squadra che fin lì, a parte un tiro di Zalewski e una situazione in area creata da Dybala, non aveva mai tirato in porta, portata più a far giocare male il Milan piuttosto che a giocare bene con l’obiettivo di andare a fare gol. Ecco perché quei 600 secondi possono essere stati la luce per capire che bisognerà avere coraggio per vincere. Quel coraggio che troppe volte non si era visto in precedenza.
L’augurio è che quei 600 secondi abbiano fatto capire che per buttarla dentro non è tanto una questione di numero di punte messe in campo, quanto di coraggio. Quello che troppe volte in questa stagione è rimasto nello spogliatoio con la conseguenza che i giallorossi sono quart’ultimi per gol fatti su azione. Tendenza che è stata confermata anche a San Siro: le reti sono arrivate da calcio d’angolo e da punizione. Perché per fare gol serve il coraggio. Se non ce l’hai, ci ha raccontato il Manzoni, non te lo puoi dare. Vero, ma quei 600 secondi alla Roma hanno fatto capire che ce l’ha.