RIVISTA LA ROMA in questo numeroLA ROMA - le Grandi INTERVISTETOP

RIVISTA LA ROMA – L’intervista: Pierluigi PARDO “Da Tiki Taka alle telecronache…”

Per questo ultimo numero dell’anno , il nostro ‘mitico’ Alberto Mandolesi è andato a trovare Pierluigi Pardo… Romano di nascita, milanese di adozione, ci racconta i suoi inizi nel ‘Piccolo Gruppo’ di Michele Plastino fino a coronare il sogno di tutti gli amanti di calcio, diventare il telecronista di punta di Mediaset… 

Per i nostri amici multimediali, ecco un piccolo assaggio…


Simpatico, estroverso, istrionico. Si potrebbe catalogare come la versione moderna di quel giovane Giampiero Galeazzi che, primo tra tutti, seppe unire la professionalità a un modo di porsi informale e coinvolgente capace
di catturare l’attenzione anche degli spettatori meno interessati. Pierluigi Pardo, per gli amici “Pier”, è divenuto in breve tempo e a pieno merito una delle voci più note tra quelle dei telecronisti, rimanendo però, alla soglia
delle sue 44 primavere, sempre lo stesso ragazzone casinista che tanto tempo fa si presentò nella redazione di Michele Plastino per iscriversi al “Piccolo Gruppo” con l’intento, poi concretizzato, di fare un mestiere della sua passione. Attraverso un messaggio su WhatsApp gli proponiamo un’intervista per la nostra storica rivista e lui non si lascia pregare, malgrado sia presissimo dagli impegni di lavoro, dai viaggi per le telecronache di Champions e dalla promozione del suo nuovo libro che sta andando a gonfie vele. «Appena respiro, facciamo quella cosa» – risponde sempre su WhatsApp. E l’occasione è Roma-Qarabağ: «Dopo la telecronaca faremo l’intervista» – ci preannuncia con un altro messaggino. Così, entusiasti per la bella serata che ha visto la Roma qualificarsi come prima del girone, accompagnati dai cori dei tifosi che ancora cantano per festeggiare il risultato ottenuto, ci dirigiamo verso la sua postazione per iniziare una chiacchierata del tutto informale…

 

Come ti sei avvicinato a questo mestiere?
«La passione prima di tutto. E poi un paio di eventi eccezionali: quello principale è stato la cassetta VHS della partita del campionato europeo, Inghilterra-Scozia, che ho doppiato durante il mio Erasmus del 1996 in Inghilterra spedendola poi a Telepiù che cercava nuovi giornalisti, e così mi presero a lavorare con loro. Ho fatto tanta gavetta, raccontando decine e decine di partite di Serie B, ma senza quella cassetta forse non avrei realizzato il sogno della mia vita».

Da ragazzo volevi fare il giornalista in generale o puntavi proprio a fare le telecronache?
«Vengo da una famiglia che frequentava, e ancora frequenta, tanti professionisti nel mondo della medicina. Nessun giornalista. Non ho mai avuto, quindi, degli input particolari. Però fin da bambino mi dilettavo a fare giornalini, e soprattutto volevo fare il telecronista. Quella è stata sempre la mia più grande ambizione, qualcosa di fortemente voluto. Debbo riconoscere che sono stato anche fortunato ad arrivarci».

Quanto conta, secondo te, la fortuna nella vita, e quanto la perseveranza?
«La fortuna conta, e ha contato anche per me. Ma è importante anche la determinazione. Io, ad esempio, ho dovuto fare una scelta perché lavoravo nel marketing di una multinazionale e mi ero laureato in Economia. Insomma, facevo un “lavoro serio”. Alla fine l’ho lasciato perché ho inseguito la mia passione».

A casa sei stato avversato o assecondato in questa tua scelta?
«Mio padre era contrario. Avrebbe preferito continuassi nel mondo dell’economia dopo tutti quegli anni di studio, ma ho scelto di ascoltare quello che sentivo dentro di me, e fino ad oggi è andata bene così».

Qual è stata la prima partita su cui hai lavorato?
«Beh, la prima partita è stata quella tra Inghilterra e Scozia che ha propiziato il mio lavoro. Fui contattato quasi subito, e mi dissero che mi avrebbero chiamato presto. Così fu, e mi avvisarono che nel week-end mi avrebbero fatto lavorare su due partite di un torneo inglese, l’Umbro Cup. Partii emozionatissimo, lusingato dal fatto che mi avevano pagato aereo e albergo. Ero totalmente sprovveduto, e non sapevo neppure se avrei potuto inserire il taxi tra le spese sostenute. La prima partita fu Nottingham Forest- Chelsea mentre Massimo Marianella era impegnato nel match più importante. Il fatto divertente è che nel mio match, dopo appena sette minuti di gioco, ci fu un’azione particolare con doppio palo, e io, naturalmente, annunciai il gol. Puoi immaginare il mio imbarazzo. In quel preciso momento pensai che quello non era il lavoro per me».

(…)


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