ROMA-FEYENOORD. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Solo José Mourinho poteva far di nuovo uscire i romanisti dalla prigionia del sogno. Non ce ne vogliano nemici e avversari. E contestatori interni, persi nel chiedersi quanti pochi minuti venissero concessi a Villar piuttosto che a Diawara.
Avevo una certezza prima del fischio d’inizio: non c’è allenatore migliore per preparare una finale. E con questa convinzione mi sono avvicinato alla partita – così come per il ritorno contro il Leicester – con relativa tranquillità.
La formazione è quella tipo ma dura appena 15 ‘: al primo vero scatto, Mkhitaryan (all’ultima con la Roma?) accusa di nuovo il problema che lo aveva fermato in Inghilterra e lascia il posto a Oliveira.
1-0 Zaniolo. È un tabellino splendido nella sua semplicità quello che certifica il trionfo romanista. Due anni lontano dall’attività agonistica; le sirene di mercato vere o presunte. Quando si ipotizza che possa star fuori – vedi anche Bodø – ecco che il 22 si prende la scena.
In una serata perfetta dove non esistono voti sotto al 10, menzione speciale per tutto il pacchetto difensivo, con le parate decisive di Rui Patricio e uno Smalling versione Grande Muraglia.
La cosa più bella, ora? La certezza che non ci sarà nessuno “rischio gratitudine”: Mourinho resta ma ha fatto capire anche ieri che vuole giocatori forti. E alcuni tra coloro visti anche ieri sera, il prossimo anno dovranno essere da un’altra parte o avere un ruolo molto meno centrale di quello interpretato in questa stagione.
Starà quindi ancora ai Friedkin – una vera e propria benedizione, dopo il decennio di Pallotta & Co. – decidere cosa voler fare da grandi.
Nel frattempo gli lasciamo godere il successo e comprendere cosa significhi far festeggiare questo popolo.
PS: Grazie a chi, anche in questa lunga la stagione, ha avuto la bontà di leggermi. Appuntamento ad agosto!