LEICESTER-ROMA. A PRIMA VISTA di Paolo MARCACCI
Fossimo in un altro paese, tutto il calcio italiano sarebbe stato orgoglioso della Roma, a prescindere dal risultato di stasera: perché è rimasta solo lei e perché è la semifinalista assoluta di ieri e di oggi, vale a dire che è arrivata tra le prime quattro almeno una volta nelle coppe che furono e in quelle che sono.
C’era bisogno di essere più furbi delle volpi, stasera: le “Foxes” del Leicester avevano la spinta del “King Power Stadium” e tutta la vocazione a giocarsela che è propria dell’identità instillata loro da Brendan Rogers.
La Roma, vantaggio a parte, attraversa un primo tempo di organizzazione e, per così dire, di “gestione” della veemenza con cui, non sempre lucidamente, Tielemans e compagni tentano di aggredirla. Maggiore, con evidenza, la qualità degli uomini di Mourinho, soprattutto quando escono con la palla.
Zalewski è da stropicciarsi gli occhi: per auturevolezza, personalità, assunzione di responsabilità e confezione tecnica delle giocate.
La Grande Muraglia stasera è diventata inglese: monumentale Smalling.
Nella ripresa la Roma è un pochino più passiva, soprattutto quando perde Mkhitaryan; Zaniolo esce dopo essere entrato poco in partita. Diciamo subito che il Leicester merita il pareggio, quando lo raggiunge: la Roma ha subito di più ed è uscita meno; il conto dei corner parla da solo. Allo stesso modo, la Roma meriterebbe qualcosa di più nel finale.
Detto ciò, al fischio finale le chiacchiere stanno a zero. Ci vediamo all’Olimpico, bellezza.