Testa a Leicester
(IL TEMPO) Con la testa a Leicester. Si ferma dopo dodici risultati utili consecutivi la corsa della Roma in campionato e la Conference League rimane, a maggior ragione dopo ieri, l’occasione di trasformare questa stagione da una semplice transizione a qualcosa di memorabile. A San Siro pesano di più le motivazioni e la forza dell’Inter, che vince il terzo confronto su tre contro Mourinho e mette un altro mattoncino per il secondo scudetto consecutivo. Finisce 3-1 una partita che, come i precedenti due confronti stagionali tra nerazzurri e giallorossi, si è sostanzialmente chiusa all’intervallo. La Roma continua a pagare il divario dalle più forti, il dato degli scontri diretti contro le prime quattro è emblematico: conquistati appena 2 punti (entrambi col Napoli) su 24 disponibili. E nei match contro l’Inter il risultato complessivo è di 8 a 1 per la squadra di Inzaghi. I progressi giallorossi ci sono ma non bastano, i pensieri di molti sembravano già proiettati alla trasferta di coppa giovedì in Inghilterra.
Mourinho ha provato a sparigliare le carte preferendo El Shaarawy a Veretout nell’undici iniziale, col Faraone trequartista insieme a Pellegrini in fase di possesso ed esterno sinistro quando il pallone lo aveva l’Inter, con Mkhitaryan a salire in pressione su Dimarco dall’altra parte. Dopo diciotto minuti di «rispetto» assoluto fra le due squadre, il primo a ribellarsi è Calhanoglu che scalda i guantoni di Rui Patricio. Dall’altra parte risponde Mkhitaryan ma è impreciso. Poi entra in gioco la vecchia regola «gol sbagliato, gol subìto». Mancini fallisce di testa una grande occasione sulla punizione battuta da Pellegrini. Azione perfetta dell’Inter dall’altra parte e Dumfries va dritto in porta a infilare Rui Patricio: un gol che solitamente una squadra di Mourinho non dovrebbe mai prendere. I nerazzurri si sciolgono e Brozovic inventa la giocata personale che vale il raddoppio.
A inizio ripresa, dopo l’illusione romanista di poterla riaprire sull’asse Pellegrini-El Shaarawy, Lautaro chiude i giochi di testa su corner. Così il finale diventa una passerella, con gli allenatori e i giocatori che pensano solo a gestire le forze in vista dei rispettivi prossimi impegni, i cambi e Mourinho che si gode un’altra ovazione di San Siro. Quando ormai tutti aspettano solo la fine c’è spazio per il gol di Mkhitaryan e un paio di occasioni finali giallorosse. Il segnale di vita arriva, ma la sostanza non cambia. Lo Special One dovrà aspettare l’anno prossimo per provare a battere l’Inter, ora c’è da inseguire una Conference League, che sarebbe il primo trofeo europeo vinto da una squadra italiana dopo la «sua» Champions nerazzurra del 2010. Quella che gli fa raccogliere ancora applausi a Milano a dodici anni di distanza.