STORIA DI IERI di Diego AngelinoCOPPE EUROPEETOP

BODO/GLIMT-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…

di Diego ANGELINO – Questa fa ancora più male. Perché quando prendi Mourinho – ventidue anni dopo un altro numero uno, Capello – pensi che, almeno, serate come quella di ieri non si ripetano più. Soprattutto con un avversario come il Bodo.

Ma, forse, dobbiamo far conto che questo tipo d’imbarcate – da quella maledetta serata di Manchester del 2007 – ci sia penetrato nel DNA.

Avevamo sperato che l’audio “rubato” di Mancini – il quale, il giorno prima della gara, identificava il match di ieri come punizione per lo scorso mediocre campionato – fosse una matura presa di consapevolezza del gruppo. Evidentemente così non è stato.

Prendo spunto da Mancini, tra l’altro ieri non imputabile in quanto assente: che la proprietà rimandi a fine stagione qualunque tipo di discorso su rinnovi/adeguamenti contrattuali di qualsivoglia giocatore, citando questa “bella” serata come motivazione.

Le scelte iniziali di Mourinho ci avevano dato da pensare: “Troppo”. Uno, però, pensa che il portoghese abbia ponderato il rischio. E secondo me lo ha fatto, anche prendendo in considerazione l’idea di perdere in Norvegia. Non aveva però, di certo, ipotizzato che la squadra uscisse dal campo sul 3-1.

Le riserve: in difficoltà per qualità e per costante disistima dell’allenatore, riescono solo ad amplificare le loro mancanze, una volta trovatesi a giocare tutte insieme.

A mio avviso, ci sono però dei distinguo: tra chi quasi non sembra un calciatore (Reynolds); chi appare già lontano da Roma, almeno con la testa (Villar, Borja Mayoral); chi non fa nulla di diverso rispetto a quanto già visto nei due anni precedenti (Diawara, Carles Perez); chi va recuperato (Kumbulla), non fosse altro per l’età e l’esborso in sede di acquisto; chi è ancora acerbo (Calafiori, Darboe).

Mourinho fa bene o male o scaricare del tutto parte della rosa, andando in contrasto pure con Tiago Pinto? A mio avviso fa benissimo se l’obiettivo è, davvero, quello di alzare il livello per competere seriamente.

Oggi sono state rintracciate le parole, più o meno identiche, che disse dopo un’eliminazione dalla Coppa Italia della sua prima Inter: parliamo del marzo 2009.

Chi ha memoria romanista ricorda Capello in un Roma-Udinese 1-1 dell’aprile 2000: “Mi giro in panchina e non vedo nessuno”, l’eloquente lamentela di Don Fabio, che pochi mesi dopo vedrà arrivare Emerson, Samuel e Batistuta alla sua corte. I grandi allenatori sono così (e pensate alle parole del Conte juventino prima e interista poi).

Ciò che adesso però viene meno per Mourinho – e, ancor di più, per i Friedkin – è il tempo: una sconfitta così incide drasticamente sulle attese e riduce, anzi azzera, gli alibi. Per tutti.

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