ROMA-EMPOLI. A PRIMA VISTA di Paolo MARCACCI
Non c’è tempo, né voglia, di pensare alla Lazio, questo pare evidente, oggi e nessuno lo potrebbe dimostrare meglio del pubblico dell’Olimpico, uno stadio che si preoccupa soltanto di celebrare i propri colori, senza pensare alle débâcle altrui. C’è da battere l’Empoli e c’è un predominio territoriale, primo tempo alla mano, da tradurre quantomeno in nitide occasioni.
Vanno a briglia più sciolta, oggi, i cavalli del poderoso motore di Zaniolo, che quando accelera o lascia sul posto il proprio controllore di turno, o lo costringe a tentare di buttarlo giù, ammesso che lo prenda. Ebrima Darboe colpisce per l’essenzialità con cui presidia il giro-palla e per la gestualità attraverso la quale dirige – dirige, sì – la costruzione dei compagni.
Pressione territoriale e occupazione della metà campo avversaria, molto più importanti della percentuale di possesso palla: è in ragione di questi due dati particolari che la Roma merita il delizioso vantaggio confezionato da Lorenzo Pellegrini, fresco di firma, chirurgico alla conclusione.
Terrificante in terra-aria con cui Abraham, pronti-via per il secondo tempo, scheggia la traversa fino al rimbalzo che premia Mkhitaryan: mai due a zero fu più meritato. E se l’Empoli si sveglia un po’, concede qualche spazio in più per far divertire la gente. Anche perché nessuno prende Zaniolo, nel frattempo.
Quanto è forte Abraham? Non lo sa ancora del tutto neanche lui, viste le soluzioni offensive che incarna. Smalling ancora paga qualcosa alle proprie fibre muscolari in via del definitivo ritrovamento della forma; Calafiori entra con voglia e fame indipendentemente dal minutaggio concessogli. Bene parecchie cose, come sottolinea uno stadio parecchio soddisfatto.
Alla fine sono tre punti, mai messi in discussione; i più convincenti fino a questo momento.