RASSEGNA STAMPA

NELA “La mia Roma una squadra di campioni ma prima di tutto di uomini veri. E con gli uomini veri non sbagli”

(CORRIERE DELLA SERA) L’ex difensore giallorosso Sebino Nela ha rilasciato una lunga intervista all’edizione romana del quotidiano. Queste le sue parole:

Il calcio è omertoso, i panni sporchi si lavano in casa. Se un calciatore esce dagli schemi sputa nel piatto dove mangia. Se dice le solite banalità è un decerebrato a cui Dio ha messo nei piedi quello che non ha nella testa…
«Quando giocavo i rapporti erano diversi. Con i giornalisti, per esempio: entravano negli spogliatoi, si viaggiava insieme sui charter della squadra. La quotidianità impone rispetto, da dare e da avere. Si capiva presto di chi ti potevi fidare e di chi no. Certo, gli addetti ai lavori erano pochi, non come adesso. Quando sento per radio fare certe analisi…».

Che dialogo c’è, oggi, tra Dzeko e Fonseca?
«Perché è successo non lo so, quindi non giudico. Però l’unico bene che conta è quello della Roma. È una situazione da recuperare. Non so chi farà il primo passo, ma lo devono fare. A giugno si prenderanno le decisioni, ora c’è da raggiungere il quarto posto. Essere professionisti vuole dire gestire le situazioni. C’è gente che non arriva a fine mese, non è ammissibile sprecare soldi e talento. Ci sono stati compagni di squadra con cui non ho parlato per un anno, ma in campo diventavano fratelli e guai a chi li toccava. La Lazio di Chinaglia ha vinto uno scudetto e si odiavano».

Lei, un romanista che non odia il Liverpool.
«È come la mia Genova. Pioggia, vento, porto, una squadra amata alla follia dalla sua gente, “You’ll never walk alone”. Non li ho odiati nemmeno la notte della finale di Coppa campioni. Erano una grande squadra, ci poteva stare anche la sconfitta. Molto peggio aver perso contro il Lecce in quel modo».

I grandi tormentoni romanisti: il gol di Turone e il rigore di Falcao.
«Paulo lo doveva tirare perché nel momento del bisogno sono i più bravi che ti devono tirare fuori dai guai. Lo pensavano in tanti, l’ho detto solo io. Giancarlo (Dotto; ndr) mi ha confessato che Falcao gli ha detto che se tornasse indietro tirerebbe il rigore. Ci siamo rivisti un paio di anni fa all’Olimpico. Alla fine gli voglio bene, ha fatto tanto perla Roma. Ma non è vero che ci ha cambiato la mentalità. Quella era una squadra di campioni ma prima di tutto di uomini veri. E con gli uomini veri non sbagli»

Nella Roma attuale non lavorano Totti, De Rossi, Nela, Rocca, Pruzzo… Roma è matrigna con i romanisti?
«È un discorso lungo, che ho affrontato spesso con vecchi compagni di squadra. I grandi ex possono essere una risorsa, guarda quello che sta facendo Maldini al Milan. Però niente è dovuto. Abbiamo l’obbligo di prepararci, studiare, presentarci con competenze e conoscenze. Per adesso alla Roma è così, in futuro magari cambierà»

Ha subito quattro operazioni per un cancro al colon: si vaccinerà appena possibile o prima vorrebbe saperne di più?
«La seconda che ha detto. Non sono un negazionista, tutt’altro. Però mi scoraggia vedere la battaglia dei virologi in tv. Penso che il Governo abbia completamente sbagliato la comunicazione sulla pandemia. Ci hanno terrorizzato anziché spiegarci bene. L’allarmismo non ci ha fatto bene. A un certo punto la gente ha pensato: vaffanculo i numeri!».

Chiamiamolo effetto collaterale: la malattia l’ha allontanata da sua madre e sua sorella, con le quali non parla da anni. Ha perdonato Falcao ma non sua madre. Come è possibile?
«È stata una brutta storia che mi ha segnato per sempre. Non saper esprimere sempre i propri sentimenti non significa che tu non li abbia. Sembro diffidente, ma ho sempre avuto e voglio ancora avere fiducia nelle persone. Per questo il tradimento mi trova senza difesa. Così, quando chiudo è per sempre. Più hai amato una persona e più può farti soffrire. Sta a te venirne fuori. Il libro finisce così: “Ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto del male, grazie a loro sono diventato un uomo migliore”».

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