TURONE “Se ci fosse stato il VAR quel giorno a Torino sarei diventato famoso ma per un altro motivo”
(CORRIERE DELLO SPORT) È solo perché alla fine è un uomo educato, ammansito dal tempo, che Ramon Turone non mette mano all’eventuale pistola quando sente parlare di giornalisti. Il prossimo fanno quarant’anni che si sente inesorabilmente fare la stessa domanda. Come se lui, calciatore dalla notevole storia, non fosse altro che quella domanda. E quel fantasma. Facciamo un patto: sarà la prima intervista dall’81 a oggi in cui lui non parlerà del gol annullato dall’arbitro Bergamo in quella Juventus-Roma. Impresa che, se portata a compimento, passerebbe alla storia. Come parlare un’ora con Mogol senza chiedergli di Battisti o intervistare Dracula e non fare cenno al miracolo di San Gennaro. Maurizio per l’anagrafe, Mauro per la famiglia e gli amici, Ramon per i tifosi. E per quelli che amano il cinema western, le facce sporche e la polvere negli scarpini. Tutte le strade di Ramon Turone portano a Varazze, dalle parti di Savona. Che si tratti di venire al mondo o di sbracarsi come una lucertola nella madre sabbia. Nel frattempo, gli anni sono settantadue quasi, la ciocca bianca è diventata tutta bianca («a parte qualche filo nero») e lui ha smesso da un pezzo di arrivare dirompente da dietro come un apache a scatenare il caos nelle retrovie e i dubbi nelle teste.
Allora, intesi?
«Intesi. Anche se poi, a furia di parlarne, quella storia è l’unica che ricordo bene. Sto invecchiando».
Cominciamo da Bergamo…
«Ma come?…».
Bergamo città, non Bergamo arbitro.
«Un peccato… Anche se quelli del Paris sono di un altro pianeta. Lo s’è visto al momento dei cambi. Uno fa entrare Mbappé e l’altro un ragazzino della primavera».
Perché Ramon?
«Perché quando giocavo all’oratorio ero un moretto piccolino, la pelle olivastra, un incrocio tra un argentino e un messicano. Nel calcio mi conoscono tutti come Ramon».
Lo segui sempre il calcio?
«Lo seguo, anche se non vado pazzo. Lo seguivo di più quando lavoravo come dirigente nel Savona. Adesso m’hanno rottamato».
In che senso?
«Il club. L’hanno comprato dei personaggi cinque mesi fa che… Lasciamo stare».
Non lasciamo stare.
«Cinque mesi fa hanno costretto la vecchia proprietà a vendere. Arrivano questi, non si sa da dove, in un mese e mezzo sono falliti. Una vergogna! Savona è una città importante, un porto che fa da base alle navi crociera Costa. Le istituzioni avrebbero dovuto vigilare…».
E invece?
«Diciamo che l’hanno presa alla leggera. Ora non si sa niente. Come ripartirà il Savona, se e quando ripartirà…».
Qualcosa ti appassiona del calcio di oggi?
«Proprio no. A parte i grandi, tipo Messi e pochissimi altri. Siamo allo sbando. Scusa, hai mai più visto un giocatore che dribbla? Non succede niente. Si passano la palla all’infinito».
C’è stato uno scadimento tecnico?
«Spaventoso. Oggi, fisicamente sono tutti dei mostri, ma in quanto a trattare l’attrezzo. È cambiato tutto. Sono cambiati i sistemi e i parametri. E non mi vengano a dire “sì, vabbè, il calcio di una volta…”».
Il calcio di una volta?
«Allenati come quelli di oggi non ci sarebbe storia. Saremmo più competitivi che mai. Prendi le mezze ali di una volta. Bulgarelli, De Sisti, Juliano, Rivera, Mazzola. Guarda il Pescara dell’epoca, per dire un club minore, trovi qualità anche lì. Fammi oggi dieci nomi di centrocampisti che sanno dribblare, fare assist, tirare. Te lo dico io, non li trovi».
Beh, l’altra sera a Parigi, gente che dribblava benino ce n’era. Neymar, Mbappé…
«La differenza è che oggi sono eccezioni, mosche bianche… Prendi i portieri».
Sono cambiati anche loro.
«Noi alla Roma abbiamo avuto un portiere eccezionale, Franco Tancredi. Parava i rigori come nessuno. Era alto un metro e 78, oggi neanche lo prendevano in considerazione. Il calcio di oggi è questo e ce lo teniamo».
Il Tancredi di oggi è Alisson, un gatto magico di quasi due metri.
«Un miracolo di agilità, ma quanti ne trovi nel mondo così enormi e così agili?».
A proposito di abbondanza e spreco di talento. Poco tempo fa ho incontrato Alviero Chiorri.
«Matto come un cavallo. Aveva dei colpi che oggi non ce li ha nessuno. Ogni squadra aveva il suo fenomeno. Un tempo il calciatore tecnico andava e si fermava. Fintava, rientrava, ripartiva. Oggi ti fanno queste sgroppate in avanti, anche belle a vedersi».
Zaniolo, il prototipo della mezz’ala moderna.
«Zaniolo non ha bisogno di fermarsi. Lui parte e va, con questo strapotere fisico. Prendi Garrincha. Lui si fermava e fintava solo sulla destra. Tutti lo sapevano, ma se ne andava sempre».
Genoa, Milan e Roma, le tappe gloriose della tua storia.
«Ho avuto la fortuna di giocare con Angelillo nel Genoa, Gianni Rivera nel Milan e Falcao nella Roma».
Partiamo da Angelillo.
«Ci ho giocato solo un anno, purtroppo. Io ero un ragazzino alle prime armi. Lui era in fase molto calante ma, in quanto a classe, era qualcosa di unico. Ha giocato con noi solo dodici partite e le abbiamo vinte tutte».
Gianni Rivera.
«Classe infinita. Erano più piccoli e meno muscolari all’epoca. Dalla metà campo in su dettavano legge. Falcao, invece, giocava a tutto campo».
Arriva voce dal Brasile che Falcao potrebbe tornare alla Roma come direttore tecnico.
«Sarebbe il massimo. Verrei subito a Roma a salutarlo. Era un ragazzo splendido. Sarebbe una mossa intelligente, il calcio lo conosce come pochi. Come la storia di Totti. Assurda. Tenerlo come dirigente senza fargli fare un cavolo, non ha senso».
Ti ha dedicato lo scudetto, Falcao.
«L’ha dedicato a tutti i ragazzi che avevano lasciato la Roma. Quell’anno lì io me n’ero andato al Bologna, al calciomercato di novembre».
L’ha dedicato a te in particolare e sappiamo anche perché…
«C’era stima reciproca tra noi. Non voglio fare il presuntuoso, ma Paulo Roberto è un intenditore di calcio. Quando arrivò lui, la squadra cambiò completamente fisionomia».
Molti a Roma non gli perdonano di non aver tirato il rigore contro il Liverpool.
«C’ero quella sera in tribuna all’Olimpico. Ti dico una cosa. Lui non era capace di tirare i rigori. Quando abbiamo vinto la Coppa Italia contro il Torino, ha dovuto tirare per forza. Non c’era più nessuno. Ha segnato, ma ha tirato un rigore da cani…».
Poteva farlo anche con il Liverpool? Tirare da cani e segnare.
«A volte ci vuole più coraggio a dire di no. A chiamarsi fuori. Per tirare un rigore, in certi casi, ci vuole più incoscienza che coraggio. Ecco, non è stato abbastanza incosciente».