SO’ CONFUCIO di Paolo MARCACCI
Un pregiudizio è, appunto, un pregiudizio. Anche quando è positivo. A giudizio di chi scrive, il pregiudizio positivo nei confronti di Paulo Fonseca resiste, seppure un poco sbiadito. Perché è uno che tenta di imporre la propria idea di calcio, seppure con i rischi che comporta; perché mantiene dritta la barra del proprio stile, laddove altri tecnici avrebbero già alzato il livello della polemica verso qualsiasi interlocutore; perché continua a proteggere la squadra, anche quando quest’ultima sembra fare di tutto per non meritarlo.
Dopo la generica premessa, arriva l’analisi del momento contingente: il tecnico portoghese argomenta in modo vario e variegato, di fronte alle domande, ma sembra avere sempre meno risposte. La sensazione, anche per una questione di mimica facciale, è che negli ultimi proceda sempre più a tentoni, quindi ragionando per ipotesi. Cartina di tornasole di questo discorso sono le formazioni via via più inedite, più sorprendenti rispetto alle indicazioni delle conferenze che le hanno precedute. Con lui eravamo abituati diversamente, nel senso che le indicazioni erano vere indicazioni, i ragionamenti sulle scelte vedevano queste ultime confermate, il giorno dopo.
Adesso che accade, oltre al fatto, palese, che la Roma appare carente a livello di brillantezza, di durata, di rapidità, pur contemplando i progressi evidenziati al San Paolo?
Nonostante l’aplomb, lo stile di cui sopra, i toni sempre contenuti, nelle ultime settimane quando lo vediamo ai microfoni sembra avere sempre più stati d’animo in comune con l’ultimo Rudi Garcia e con l’ultimo Di Francesco, vale a dire con tecnici a cui la situazione era sfuggita di mano.
Non aiuta la questione societaria, non aiutano i titoli degli ultimi giorni che lo riguardano, su questo non c’è dubbio. Ma, allo stesso modo, giocare al gatto col topo in conferenza, a proposito delle scelte per la partita dell’indomani, come fosse una specie di dispetto a qualcuno, lo rende corresponsabile del caos. Un caos all’interno del quale la Roma sta perdendo anche la minima riconoscibilità del suo gioco, che aveva cominciato a smarrire da quando era iniziato il girone di ritorno, quindi ben prima del COVID.