EDICOLA. Un sorriso vale più di mille parole urlate al megafono
IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) – L’uomo con il megafono lo aveva cacciato; il provinciale inadeguato l’ha fatto diventare uomo. E pure giocatore vero. Al di là, sia chiaro, delle due reti segnate al Franchi. Gerson, lo avrete capito, è l’emblema di come si possa fare calcio (e bene) in diversi modi. Tipo, far giocare sempre gli stessi oppure ruotare in continuazione i propri uomini. Tutti i propri uomini. Anche quelli che pochi mesi fa erano stati accompagnati all’uscita senza neppure una pacca di ringraziamento sulle spalle. Gerson, prima che arrivasse Di Francesco, era semplicemente un ragazzo pagato un botto di soldi e mai utilizzato. O meglio, impiegato solo una volta, ricordate Torino?, e pure in una posizione non sua. A dire il vero, però, la posizione attuale di Gerson è piuttosto simile a quella tenuta nell’allora Juventus Stadium, cioè largo a destra. Solo che i suoi attuali compiti tattici sono diversi. E, soprattutto, è diversa la considerazione che l’allenatore ha nei suoi confronti. Gerson, lo avrete notato, non sorrideva mai, neppure in allenamento. Ma come: un brasiliano che non scherza, non si diverte neppure con i compagni? Esatto. Ecco perché noi mettiamo da parte le immagini dei due gol di Firenze e vi invitiamo a dare un’occhiata a una pubblicata sabato sul sito della società. Gerson, in treno verso la Toscana insieme con i connazionali, con un sorrisone a mille denti. Per la prima volta, credeteci, sorridente.
IL SEGNALE Ad analizzarlo bene, era quello il segnale, l’anticipo di ciò che sarebbe accaduto il giorno dopo, cioè ieri, sul campo della Viola. E allora, fateci il favore, date un’occhiata anche al sorriso stanco che Gerson ha sfoderato quando, esausto, è tornato in panchina, abbracciando Di Francesco. Qui non si tratta di salire sul carro di Gerson (attenzione: solo posti in piedi su quello di Di Francesco); se mai, si vuole ricordare che prima di bocciare un calciatore, al punto di dare l’ok per la sua cessione definitiva, bisogna farlo giocare. Non basta definirlo bellino con i piedini. In molti, probabilmente, non ricordano che il brasiliano è più giovane del giovane Pellegrini e coetaneo del giovanissimo Cengiz Ünder. Ma tutto questo, vedrete, le galline del Cioni non lo sapranno mai.