Pastore, dolce e postdatato: il risveglio dell’uomo che sussurra al pallone
(IL MESSAGGERO) «Lo scorso anno non mi sentivo importante». E ci mancherebbe. Come faceva ad esserlo? Erano più le volte che doveva combattere con l’infermeria che con gli avversari. E’ stata un’annata sotto zero, ora è un altro e lo sta dimostrando, anche se a fine estate ha subito un infortunio muscolare che aveva fatto pensar male tutti. Ma Javier Pastore è tornato a sentirsi importante, oggi sì.
Demeriti (oltre alla sfortuna) prima, grossi meriti oggi, suoi e di chi, ovviamente, gli ha dato fiducia e continuità. Fischi prima, standing ovation oggi, tutto nella norma: il calcio è così da sempre, i tifosi ti amano e ti insultato, e viceversa. Lo scorso anno non era una questione di ruolo, perché Pastore, semplicemente, non era in condizioni fisiche accettabili (per infortuni vari, ha saltato sedici partite e in quattordici ha guardato i suoi compagni dalla panchina).
Adesso il Flaco si sente perfettamente a suo agio, sta bene fisicamente, in fiducia mentalmente e riesce a liberare la giocata, quella sì, non l’ha mai messa in discussione nessuno. Se prima giocava da fermo, oggi è un calciatore in movimento. Sarebbe stato da pazzi contestare le sue doti tecniche: Pastore è uno che al pallone non parla, sussurra. E ciò che colpisce quest’anno dell’argentino non è la rabona, splendida, esibita contro il Napoli proprio sotto la Monte Mario, ma il suo essere sempre in partita, in tutte le posizioni (regista a momenti, trequartista spesso) e in ogni situazione (dalle rincorse alla gestione della palla in fase offensiva).
Le cinque (Sampdoria, Borussia Mönchengladbach, Milan, Udinese e Napoli) partite di fila sono insolite per uno come lui (lo scorso anno al massimo è arrivato a tre), ma oggi sembra la normalità. E’ chiaro, ed è complicato negarlo, con Di Francesco non c’è stato mai feeling e il rapporto è degenerato nel derby di ritorno con quel vaffa inviato al tecnico, ormai era troppo tardi per ricomporre la situazione.
La Roma, dopo l’ultima annata, ha solo pensato al costo, ad alleggerire il monte ingaggi e quello del Flaco è tra i più pesanti, pure lui non si torvava granché bene. Ma poi non c’è stata occasione di una cessione, né la volontà concreta da parte del trequartista e tutto è rimasto così. Fonseca è stato bravo a non far marcire la situazione e ha lavorato sul suo recupero psicofisico. Percorso portato a termine con successo. Per ora.
IL BELLO DEL CALCIO – Pastore è il bello del pallone, quello che i bambini sognano di essere, quello che rende utile una giocata superflua (vedi la famosa rabona, un modo di calciare per la gente che per gli allenatori: il passaggio lo puoi fare anche in maniera più semplice). Ma quel tocco, quell’andatura alla Kaka, quella classe lenta alla Riquelme, ne fanno un giocatore di spessore. Che Dio lo conservi integro, perché abbiamo capito, dipende tutto da quello.