DODO “Alla Roma grazie a Sabatini. Andai via con dispiacere
(AS ROMA MATCHPROGRAM, Riccardi) C’entra l’Udinese nella storia di Josè Rodolfo Pires Ribeiro, al secolo Dodò. Difensore di fascia sinistra, classe 1992, con la Roma ha collezionato 35 presenze tra il 2012 e il 2014. La prima di queste fu contro i bianconeri del Friuli, il 28 ottobre 2012. Quella serata all’Olimpico non rappresentò soltanto il debutto nel club, nel calcio europeo, ma – soprattutto – il ritorno in campo dopo mesi di inattività. Al termine di un calvario lungo oltre dieci mesi per un infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro, riportato durante International-Bahia del 16 novembre 2011, per un intervento non proprio ortodosso del difensore Bolivar. Crack, diagnosi immediata, stop lungo. E una prospettiva di ripresa dell’attività sportiva non immediata. Da uno dei nomi più attenzionati della piattaforma WyScout diventa un’incognità per molti osservatori di mercato. “In quel momento arrivò la Roma, senza indugiare. Devo ringraziare questa società che mi diede fiducia a scatola chiusa e mi fece firmare il contratto nonostante fossi infortunato, in un momento non facilissimo”.
Racconti la genesi del suo trasferimento.
Fu merito del direttore sportivo di allora, Walter Sabatini. Mi seguiva da molto tempo, ma quando mi feci male dimostrò la stessa determinazione di sempre per prendermi. Voleva che mi andassi a curare nella Capitale, fu attento a ogni dettaglio, fece davvero di tutto per ingaggiarmi. E io fui felice di potermi trasferire in un club tanto prestigioso e in una città storica.
Arriva nella Capitale nell’estate del 2012, per sostenere la prima preparazione estiva con la Roma.
Da un punto di vista fisico stavo meglio e mi misi subito a disposizione del tecnico Zeman. Ma dopo pochi giorni mi fermai di nuovo. Il tendine si infiammò, procurandomi una fastidiosa tendinite. Questo era un problema che mi portai dietro per qualche tempo dopo l’operazione. Forse non ero abituato a sostenere certe modalità di allenamento, a sottopormi a determinati carichi di lavoro. Quelle di Zeman erano sedute particolarmente dure, con i gradoni, soprattutto all’inizio della stagione.
Che rapporto aveva con l’allenatore boemo?
Non c’era un grande legame tra noi due. Parlava poco, i risultati della squadra stentavano ad arrivare e a gennaio andò via perché esonerato. Però lo devo ringraziare per avermi fatto esordire.
In quel Roma-Udinese 2-3, del 28 ottobre 2012.
In campo il risultato non fu positivo, perdemmo addirittura rimontati dopo essere stati in vantaggio di due gol nei primi trenta minuti di gioco. Io scesi in campo dal primo minuto, nemmeno un anno dopo quel bruttissimo infortunio. Feci la mia parte, poi uscii dal campo dopo un’ora di gioco per far posto a Marquinho. Ricordo con piacere quella giornata soprattutto perché avvertivo la curiosità dei tifosi per il mio debutto. Mi aspettavano in molti.
L’anno successivo, invece, con Garcia le cose andarono meglio. Per lei e per la Roma.
Io giocai una ventina di partite, nella seconda parte di stagione il mister mi diede fiducia da terzino sinistro, il mio ruolo naturale. Balzaretti si fece male e restò fuori a lungo, favorendo il mio inserimento. Mi feci trovare pronto e disputai parecchie gare importanti. Tra queste, la prima da titolare fu Roma-Napoli, che vincemmo 2-0 con doppietta di Pjanic. L’ottava delle dieci vittorie consecutive dall’inizio del campionato. Con l’Olimpico pieno, una bolgia.
Altri momenti particolari trascorsi in giallorosso?
Cito sempre quella stagione, 2013-2014. Facemmo 85 punti, soltanto la Juventus ci fu superiore arrivando a 102. Ma il nostro cammino fu da scudetto. E, visto che parliamo di Udinese, mi piace ricordare quella trasferta al Friuli vinta 1-0 con rete decisiva di Bradley. Non giocai, però in quel pomeriggio esultammo tanto tutti nello spogliatoio. Pensammo che poteva essere l’anno nostro. Poi andò diversamente. Peccato. Però tornammo in Champions dopo tre anni dall’ultima volta.
Alla fine di quella stagione, fu ceduto all’Inter di Mazzarri.
Un po’ mi dispiacque, non lo nego. Mi sarebbe piaciuto giocare la Champions con la Roma, ma fu una decisione della società, che accettai. Sul mercato presero Ashley Cole e per me lo spazio si sarebbe ridotto. Io andai via dalla porta principale, senza polemiche con nessuno e una convinzione in testa.
Quale?
Quella di essere stato in club magnifico e in una città magica.
Come andò poi a Milano e a Genova?
Bene, ma non meglio di Roma. Sono stato bene in entrambe le città, ma Roma è stata la mia prima tappa in Europa. È il luogo in cui mi sono trovato meglio e dove ho ancora tanti amici.
Oggi è tornato in Brasile. Prima al Santos e oggi al Cruzeiro.
Sono due club storici. Il Santos è stata la squadra di Pelè, Robinho e Neyman, nel Cruzeiro, invece, partì Luis Nazario da Lima, Ronaldo il fenomeno.
La rivedremo giocare in Europa?
Nel calcio non si sa mai, ho 27 anni, può ancora succedere di tutto. Ma non escludo di tornarci a prescindere in Europa, a viverci. È una cosa a cui penso da un po’.
Tornerebbe a vivere a Roma?
Che domande? Certo. Nella mia Roma.