RASSEGNA STAMPATOP

Roma: De Rossi, il timore di finire come l’amico Totti

(IL MESSAGGERO, Ferretti) Da una parte la voglia di continuare a giocare con la Roma; dall’altra la decisione di non rinnovargli il contratto, con il club pronto a far restare De Rossi in azienda (cit. Fienga) ma con mansioni inedite. Tutte fuori dal campo. Non si è arrivati ad un accordo perché Daniele vuole continuare a fare il calciatore («Ma loro non hanno voluto»), anche lontano dalla Capitale e forse nel nostro campionato (occhio all’estero, cioè Usa), e pure perché – analizzando il suo virgolettato – non condivide la gestione della Roma attuale. Da qui il suo “no” all’offerta formulatagli dal ceo Fienga di restare/entrare nei quadri societari.

Le sue parole aiutano a capire l’intera questione. «Il non rinnovo del contratto mi è stato comunicato ieri (lunedì, ndr), ma ho trentasei anni e non sono scemo. Ho vissuto nel mondo del calcio: se nessuno ti chiama per un anno o per dieci mesi, nemmeno per ipotizzare il contratto, la direzione è quella». Nessuno, insomma, a Trigoria si è preoccupato di affrontare la faccenda nei tempi giusti. Ci ha provato un paio di volte l’ex ds Monchi («Mi aveva rassicurato»), che però a marzo ha fatto i bagagli ed è tornato in Spagna. E da quel momento in poi, come riferito da Fienga, nella Roma ha regnato tanta, troppa confusione. «Ci siamo parlati poco quest’anno, un po’ mi è dispiaciuto. Le distanze a volte creano questo… E spero che si migliori perché sono un tifoso della Roma». Chiarissimo il riferimento al presidente James Pallotta, che da oltre un anno non mette piede a Trigoria. Con una frecciata anche a chi rappresenta il bostoniano nella Capitale e che, al di là del mea culpa di Fienga, non ha preso in considerazione la faccenda nei tempi e con i modi dovuti. Problema sottovalutato? Troppo rinviato, piuttosto. «Non ho rancore nei confronti di nessuno, parlerò col presidente un giorno… E con Franco Baldini (sdoganato per la prima volta in Casa Roma, ndr)». Baldini, dunque, esiste. E da lontano detta la linea e suggerisce molte mosse a Pallotta. Una figura che nell’azienda (AS Roma, si chiama) non c’è, ma in realtà c’è. Eccome. «Io a un giocatore come me avrei rinnovato il contratto, perché quando ho giocato ho fatto bene e nello spogliatoio non creo problemi, anzi li risolvo. Se fossi un bravo dirigente, come dice Fienga, mi sarei rinnovato il contratto».

Poi, una frase che non lascia spazio a dubbi sui motivi che l’hanno portato a dire “no” alla scrivania. «Fare il dirigente non mi attira particolarmente, anche se qui a Roma avrebbe un senso diverso. La sensazione è che, anche guardando chi mi ha preceduto, ancora si possa incidere poco (e guardava Totti… ndr), si possa mettere poco in un ambiente che conosciamo bene. Faccio fare il lavoro sporco a Francesco e un giorno se cambierò idea lo raggiungerò. E’ vero che mi accoglieranno a braccia aperte, ma mi piacerebbe fare il lavoro che vorrei fare». Traduzione: non voglio fare la fine di Totti, che due anni dopo il suo ingresso in società non ha ancora un ruolo operativo definito. Parole che alimentano le ombre sull’attuale ruolo del Capitano, ma che – osservando la realtà – non fanno una piega. Totti era lì, a due passi da Daniele. In silenzio, un po’ defilato. «Oggi è un giorno triste. Oggi si chiude un altro capitolo importante della storia dell’As Roma, ma sopratutto di Roma… della nostra Roma», il post di Francesco più tardi.

Infine, il tasto probabilmente più doloroso per la piazza. «Un piccolo dispiacere che ho è che negli anni tante volte ho avuto la sensazione che la squadra diventasse molto forte, molto vicina a quelli che vincevano, poi è stato fatto un passo indietro. Sono leggi del mercato: alcuni possono permettersi una macchina ed altri macchine diverse. Non posso farne una colpa, non entro nei numeri ma spero che la Roma con lo stadio possa diventare forte».

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