REAL MADRID-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Vedi Zaniolo in campo e speri in una replica di Gerson a Londra col Chelsea, un anno fa.
Ma quella era la Roma di Alisson, Strootman e Nainggolan; di Kolarov Locomotiva e Fazio Comandante; del fuorigioco che scattava con regolarità e del recupero palla efficace.
Questa è al contrario una Roma che ha perso le sue certezze, che subisce l’attuale lentezza di Nzonzi, che ha in quei Kolarov e Fazio, punti di forza di un anno fa, due problemi di oggi.
I giallorossi ci provano a essere bassi e ordinati per limitare il palleggio del Real; si affidano anche a un Olsen autore di più parate decisive; non sfruttano però mai a dovere le opportunità potenziali che hanno in ripartenza.
Come nella “migliore” tradizione romanista il goal subìto arriva a un soffio dall’intervallo: fallo di De Rossi fino a quel momento bravissimo in copertura e atteggiamento della barriera rivedibile sul tocco delicato di Isco.
Non pareggi con Under (due volte) ed ecco che arriva il raddoppio di Bale, in campo aperto, prima dell’unica vera scelta che mai giustifico di Di Francesco: le quattro punte.
Anche perché se una di queste è lo Schick, da me sempre difeso fino a ieri, che entra con quella superficialità anziché mangiare il campo, è davvero solo dannoso inserirle.
Sempre in tema di tradizione, che non vuoi prenderlo il 3-0 allo scadere?
“Se devo andare all’inferno, ci andrò suonando il mio piano”, dice Dennis Quaid nel film in cui interpreta il cantante Jerry Lee Lewis. Ci pensi anche Di Francesco, ignorando le gerarchie e dando spazio solo a chi sta bene e al modulo che preferisce: se poi pagherà, lo avrà comunque fatto con la coscienza pulita di chi ha sempre cercato il bene della Roma.