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De Rossi: “Scelta di restare a Roma sbagliata calcisticamente ma non ho rimpianti” (VIDEO)

Torna a parlare Daniele De Rossi, protagonista del nuovo episodio della serie condotta da Gary Neville, Roy Keane, Jamie Carragher e Ian Wright. Tanti i temi trattati tra cui la sua esperienza da calciatore ed allenatore della Roma. Queste le sue parole.

Come mai la pressione è così alta a Roma nonostante non sia un club abituato a vincere come Milan o Juventus?
“È l’amore per questo club, il modo in cui siamo. Se io fossi uno chef sarei così, se cucinassi una carbonara e non ci fosse tanto guanciale mi arrabbierei (ride, ndr). Siamo fatti cosi e il calcio è molto importante per gli italiani, soprattutto a Roma. Sappiamo che non siamo il Real Madrid, non cosi vincenti, e molti tifosi accettano di non vincere trofei per una stagione”.

Per la gente vincere è più importante dello stile di gioco?
“Non per la maggior parte: qui amano la lealtà di un giocatore, l’impegno profuso in campo anche se non sei di Roma. Ovviamente, poi vorrebbero vincere. Abbiamo trascorso 10/12 anni senza vincere ma andandoci molto vicino, con 9 secondi posti ed è folle, contro club costruiti con 200 milioni più di noi. Non abbiamo mai vinto ma in quelle stagioni avevamo vinto tante partite e alla gente andava comunque bene perché apprezzavano la prestazione”.

Hai sempre voluto giocare per la Roma?
“Sì, tutti qui vorrebbero giocare per la Roma. Qualche volta succede e poi devi fare una scelta: se sei abbastanza fortunato puoi permetterti di scegliere se andare in un club migliore o rimanere qui. Non tutti sono cosi fortunati da poter decidere ma io l’ho fatto, calcisticamente una decisione sbagliata ma per me è andata bene così. Non ho rimpianti”.

Quanti anni avevi quando hai firmato per la Roma?
“Ero nelle giovanili e avevo 12 anni. Mi allenavo a Trigoria, nella stessa struttura che viene utilizzata ora ma ovviamente è stata modernizzata. Non giocavo mai, ero sempre in panchina per i primi 3/4 anni. Ero un giocatore diverso, un attaccante molto leggero, tecnico ma non aggressivo. Poi ho capito che se avessi voluto giocare avrei dovuto cambiare ruolo”.

Giannini, Totti e te venite considerati degli eroi dai tifosi perché siete nati a Roma: c’è questo grande legame tra i sostenitori e i giocatori nati nella Capitale…
“Sì. Tutto parte dall’amore dei tifosi per il club. Non si tratta solamente di me, Francesco e Giuseppe, ci sono tanti altri giocatori. Poi alcuni non sono così forti da rimanere, quindi vanno in prestito o via. Questo è un sogno, un bambino romano cresce sognando questo”.

Quando sei passato da essere un attaccante a essere un centrocampista?
“Avevo 16 anni, stavamo perdendo contro l’Arezzo e io ero in panchina. Il capitano era un centrocampista e venne espulso, quindi il mister mi disse di entrare e giocare nella stessa sua posizione. Andò bene, vincemmo 2-1. Nella gara successiva giocai sempre in quella posizione ed era contro il Pescara. Ricordo tutto perché cambiò la mia vita. Poi andai in Primavera con lo stesso allenatore e trovai spazio perché durante la preparazione estiva sette centrocampisti della Primavera vennero chiamati in prima squadra. Quando tornarono pensai che non avrei più giocato, ma l’allenatore invece continuò a credere in me e io continuai a giocare. Poi Fabio Capello mi vide giocare in Primavera e non sono più tornato indietro”.

Quindi Capello è stato il primo a portarti in prima squadra?
“Sì. All’inizio mi chiamava soltanto negli allenamenti e quella fu la stagione migliore della nostra vita perché vincemmo lo Scudetto. Quell’anno andai un paio di volte in panchina e mi sono sentito una piccola parte di quella stagione. Nessuno si ricorda di me ovviamente, ma io ricordo tutte le emozioni vissute in quell’annata. L’anno successivo sarei dovuto andare in prestito, poi rimasi e giocai 4/5 partite. Nella stagione ancora successiva Capello cercò di prendere Davids dalla Juventus e i bianconeri chiesero 4/5 giovani giocatori come pedine di scambio, ma l’affare non andò in porto e non so precisamente il motivo. Avevo delle squadre che mi volevano tra cui Chievo, Empoli e Reggina ma decisi di rimanere perché credevo di poter giocare. Tutti mi dicevano che ero matto e che non avrei mai giocato con calciatori del calibro di Emerson, Dacourt, Tommasi, Zanetti… Giocai 25/26 partite alla fine, un numero importante per un giovane calciatore.”

Nel 2001 il Liverpool affrontò la Roma in Coppa UEFA e l’anno seguente giocammo contro di voi in Champions League. Mi ricordo quella squadra, c’erano Cafu, Candela…
“Jamie, ti ricordi l’arbitro di quella partita? Tutti si ricordano Garcia Aranda (ride, ndr)”.

Ci fu quel tocco di mano di Babbel… Battemmo la Roma 0-2 all’Olimpico grazie alla doppietta di Owen, poi perdemmo 0-1 il ritorno. Babbel la toccò di mano, l’arbitro fischiò il rigore ma il guardalinee indicò il calcio d’angolo e lui cambiò la decisione. Nessuno di noi disse niente e continuammo a giocare.
“Quello è stato il momento in cui la Roma vinse lo Scudetto. Con l’eliminazione dalla Coppa UEFA la squadra poté concentrarsi solamente sul campionato”.

Quindi alla fine fu una buona decisione quella dell’arbitro (ride, ndr).
“Grazie mille. Accade una volta ogni 50 anni quindi ti ringrazio”.

Segui una squadra inglese in particolare?
“Seguo il calcio inglese. Da ragazzo seguivo il Manchester United, ero affascinato da quella squadra. Mi piace il calcio inglese”.

Sei mai stato vicino alla Premier League?
“Sono stato molto vicino, sarebbe stata la prima opzione in caso di addio alla Roma. Fui vicino al Manchester United, la consideravo la squadra migliore in Inghilterra. Inoltre ho avuto ulteriori occasioni per andare in altri club”.

Volevi prendere il mio posto?
“Eri già vecchio Roy (Keane, ndr). Nel 2006, durante il Mondiale, ero in aeroporto e il ct Lippi mi chiamò e mi portò in una piccola stanza in cui c’era Ferguson. Lippi mi disse: ‘Devi andare lì’. Io stavo in silenzio perché c’era Ferguson e perché avevo paura di Lippi. Fu una chiacchierata che durò 3 minuti, niente di serio, ma mi sarebbe piaciuto dire a Ferguson ‘Io voglio venire'”.

Alla fine il Manchester United prese Carrick?
“Sì e fece la scelta giusta. Michael era un grande giocatore, l’ho affrontato 3/4 volte ed è stato un disastro per la Roma. Abbiamo perso 7-1, 3-0…”.

Hai segnato nel 7-1.
“Sì, un bel gol. Ma è stato imbarazzante per noi quel risultato. All’andata giocammo benissimo e vincemmo 2-1, quindi pensammo ‘Questa è la nostra stagione, questa è la nostra stagione perché siamo stati più forti del Manchester United’. Poi ci furono molti infortuni, l’undici titolare era ottimo mentre le riserve non così buone”.

Nella vittoria per 2-1 Ronaldo segnò di testa?
“No, quello accadde l’anno dopo. In occasione del 2-1 Scholes fu espulso dopo 20 minuti, dominammo la partita e andammo molto vicini a segnare altri gol. Eravamo comunque contenti per il 2-1, pensando di poterlo gestirle a Manchester. Poi ci uccisero sin dai primi minuti della partita”.

Sulla Nazionale…
“Ho iniziato con la nazionale U19, poi con l’U21 con la quale abbiamo vinto l’Europeo in Germania, avevo quasi 21 anni. Poi siamo andati alle Olimpiadi, dove abbiamo vinto la medaglia di bronzo. Ad un certo punto mi chiamò il team manager della nazionale e mi disse di andare con la prima squadra, è stato tutto molto veloce. Ho giocato la mia prima partita e dopo 3 minuti ho segnato il primo gol”

Cosa accadde con Calciopoli?
“Accadde prima del mondiale, fu qualcosa di brutto anche se i calciatori non c’entravano nulla. Eravamo molto uniti, quando siamo arrivati in Germania ai tifosi italiani che vivevano lì non interessava questo scandalo. Erano tutti con noi, hanno riempito ogni stadio e ci hanno aiutato molto, ci hanno spinto fino alla finale”

Eri uno dei più giovani…
“SI è anche uno dei più stupidi (ride, ndr). Sono stati espulso alla seconda partita per una gomitata. Non mi sono goduto tutto il cammino, pregavo di avere un’altra chance, di giocare la finale. Lippi mi amava, parlava con me anche se sotto sotto era arrabbiato. Ero sicuro che mi avrebbe dato un’altra opportunità se fossimo arrivati in finale nonostante l’errore che avevo commesso. Anche il suo assistente mi disse che se fossimo arrivati in finale avrei giocato, e così è stato”

Il rigore contro la Francia?
“La tensione che si prova a tirare un rigore in finale è diversa da tutti gli altri rigori che ho tirato. Non ricordo più nitidamente le emozioni che ho provato perché sono passati quasi vent’anni. Ricordo che fu tutto molto intenso”

La differenza tra il calcio italiano e quello inglese…
“Non voglio giudicare gli altri campionati. Il calcio italiano è più tattico, più difensivo, è molto difficile segnare. Probabilmente i giocatori di Premier League sono superiori a quelli della Serie A. In Italia è molto difficile giocare contro le squadre piccole, giocano per ogni singolo punto come se fosse l’ultima partita della stagione, è molto difficile. Oggi la Premier League è più spettacolare rispetto a 20 anni fa, anche grazie ad allenatori italiani, spagnoli, anche gli allenatori inglesi stanno crescendo, penso al tecnico del Newcastle”

L’esperienza al Boca Juniors?
“Mi sono innamorato del Boca guardando i filmati di Maradona, della Bombonera. Probabilmente il loro modo di intendere il calcio è simile a quello che abbiamo noi italiani. Ho deciso di andare lì ed è stato tutto pazzesco: la gente, i tifosi, il governo, tutti parlano di Boca e di calcio. Per loro il calcio è una religione. Chiunque ami il calcio vorrebbe vedere una partita alla Bombonera. Ho giocato al Monumental contro il River Plate, è un derby diverso da Roma-Lazio, probabilmente un po’ più sentito. Il mio primo Superclasico è stato dopo la finale di Libertadores a Madrid, dove vinse il River. I tifosi del River fecero una sorta di funerale per i giocatori del Boca, con i giocatori appesi in croce. Noi sapevamo di avere di fronte una grande squadra, probabilmente migliore di noi, e il nostro unico obiettivo era quello di fare la lotta in campo, perché dopo la finale persa era l’unica cosa che volevano vedere i tifosi del Boca. Fu un massacro, ci furono 12 cartellini gialli ma dopo la partita erano tutti felici. Nessuno voleva vedere il bel calcio, gli interessava questo. La partita dopo alla Bombonera c’erano 60.000 persone, perdemmo la semifinale di Libertadores ma riuscimmo a vincere la partita in casa e lì probabilmente ho visto la più bella dimostrazione di affetto di una tifoseria verso i giocatori. Il River era più forte di noi, ma abbiamo lottato per 95 minuti e a fine partita tutti ci hanno applaudito. Potevi vedere le lacrime sui volti dei tifosi perchè avevamo perso, ma erano comunque orgogliosi di noi”

Sul derby di Roma…
“È molto importante per noi. Entrambe le squadre hanno vinto poco. La Lazio ha vinto a cavallo del 2000, avevano una grande squadra come noi. Vinse la Supercoppa europea contro lo United. Ora sono sei/sette anni che le due squadre non vincono un trofeo importante e il derby quindi diventa fondamentale per la città, per i tifosi. Nel periodo del mio primo derby da allenatore, 4 giorni dopo avevamo i quarti di finale di Europa League contro il Milan e a nessuno importava nulla di quella partita. Il derby muove l’opinione pubblica, l’interesse della gente”

Guardiola è uno dei tuoi punti di riferimento…
“Lui è diverso da tutti gli altri. È vero ha allenato solo grandi squadre, ma ha sempre creato una macchina perfetta, come a Barcellona, poi a Monaco, ora al Manchester City. Io credo che riuscirebbe a fare lo stesso anche in un club più piccolo. Un giorno disse che un giorno gli sarebbe piaciuto allenare in Italia, e credo che sarebbe un ulteriore step per la sua carriera. Ma non sono sicuro che voglia lasciare il City. Ha 10 allenatori catalani nello staff, lì si sente a casa, ha la disponibilità per comprare ogni giocatore. Io ho giocato con lui 6 mesi a Roma, ma dopo è scappato via (ride, ndr). Capello aveva un modo differente di giocare, loro non si sono mai piaciuti troppo, ma non come persone bensì come idea di calcio. Capello era legato alla vecchia scuola italiana, mentre Pep aveva già in testa il calcio di oggi. Era un buon compagno di squadra, sempre allegro e sempre pronto a condividere le sue idee di calcio. Lui voleva sempre giocare a due tocchi, mentre noi facevamo la lotta ogni singolo allenamento”

Quando è nata l’idea di diventare allenatore?
“Mio padre è un allenatore, ha allenato una vita le giovanili della Roma, la squadra Primavera. Io sono diverso, lui è più calmo, più rilassato, è l’allenatore perfetto per i giovani. Io voglio essere un tipo di allenatore diverso. Negli ultimi 4-5 anni da calciatore avevo già in testa l’idea di diventare allenatore, già pensavo a come preparare le partita, a cosa c’era di sbagliato nella strategia di gara. Ho avuto grandi allenatori nella mia carriera come Spalletti, Di Francesco, Luis Enrique, anche gli allenatori della vecchia scuola mi hanno dato molto. Ovvio alcune cose che ho appreso da Lippi e Capello 20 anni fa oggi non esistono più, il calcio è cambiato. Ho preso alcuni consigli adattandoli al calcio di oggi e ai giocatori di oggi, che fanno parte di una generazione diversa dalla nostra”

Quante volte sei stato espulso in carriera?
“Non molte volte, forse di media un cartellino rosso a stagione. Quando accadeva però era molto evidente, gomitate o entrate dure. Spesso l’arbitro non le vedeva perché prima non c’era il Var. Verso la fine della mia carriera mi sono calmato, anche in panchina ero più calmo, credo di aver preso soltanto un cartellino giallo, non sono mai stato espulso e non ho mai discusso con l’allenatore avversario”

Hai mai avuto infortuni gravi?
“Negli ultimi anni di carriera non avevo più cartilagine al ginocchio. L’ultimo anno a Roma non stavo bene, per un allenamento dovevo prepararmi 3 ore prima, già dopo 20 minuti di torello ne avevo abbastanza. Così ho deciso di non rinnovare il contratto, ero molto triste. La stagione precedente, quando siamo arrivati in semifinale di Champions, è stata una delle mie migliori stagioni. L’anno dopo ho avuto qualche problema ma ero uno dei migliori della rosa. La società sapeva che non ero in grado di prendere una decisione e forse mi hanno fatto un favore a non rinnovarmi il contratto. Ho concluso la mia esperienza alla Roma da giocatore vero”

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