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Ciccio Graziani: “Con Bove ho rivissuto un incubo. La Roma? La società non c’è”

(DIRETTA.IT, Fabio Casu) Campione del mondo nel 1982 con l’Italia di Enzo Bearzot, Ciccio Graziani ha lasciato il segno e il cuore in tutte le squadre in cui ha militato. Ma non c’è bisogno di essere tifoso del Torino, della Fiorentina o della Roma per apprezzarne la sincerità e la simpatia. Qualità che ha confermato nell’intervista esclusiva concessa a Diretta News.

Difficile non iniziare da Edoardo Bove e dal suo malore. Cosa ha provato? 

“Tanta commozione, tanta paura, mi sono ritornate in mente anche le immagini che ho vissuto con Giancarlo Antognoni. Io ero in campo in quel momento e, quindi, ho rivissuto un incubo. Per fortuna adesso le notizie sulla salute del ragazzo sono buone: è fuori pericolo di vita e questo è già il miracolo più bello. Poi, da quello che si dice, dovranno mettergli un defibrillatore e, se sarà così, lui in Italia non potrà più giocare al calcio”.

Da ex calciatore, è d’accordo con la norma adottata dalla Serie A sui defibrillatori o preferirebbe che si utilizzasse lo stesso criterio della Premier?

“Non conosco la materia, quindi non so se siamo troppo pignoli. Evidentemente per noi italiani, per la medicina italiana, per i cardiologi più importanti che abbiamo in Italia, con quell’apparecchio si può anche giocare, ma c’è anche il rischio che si possa bloccare, si possa fermare, possa avere un black out, anche a causa di uno scontro di gioco. E non potrebbe giocare neanche in Nazionale…”.

Come avrebbe vissuto lei l’obbligo di dover andare a giocare all’estero per non interrompere il suo sogno?

“È una cosa che bisogna vivere sulla propria pelle, non lo so. Se ci penso mi vengono i brividi, anche perché sapendo di avere una macchina che mi regola il cuore nel caso in cui dovesse avere un problema, già partirei con un pensiero di condizionamento. Non sei più libero e, quindi, la paura, la preoccupazione c’è sempre. Poi i medici ti dicono che non rischi nulla, che non ti devi preoccupare e magari questo ti solleva un po’, ma ho l’impressione che mentalmente uno possa far fatica ad abituarsi a questa cosa. Hai sempre la percezione e la paura che in un momento di grande sforzo, di un contatto di gioco, possa succedere qualcosa. Solo a pensarci mi condiziona e mi dà tristezza, sarà il ragazzo a valutare. Eriksen per esempio ce l’ha fatta e credo che non sia l’unico. Non possiamo metterci nei panni di Edoardo”. 

Sinora era stato una delle belle realtà della Fiorentina di Raffaele Palladino. Cosa le piace di più del modo di intendere il calcio del tecnico viola?

“Che sta facendo giocare bene la squadra. Tra l’altro, era partito male con un modulo che, molto probabilmente, non si adattava bene alla squadra, ma lo ha cambiato, intelligentemente, e la squadra è migliorata, molto migliorata. Adesso la Fiorentina ha una sua identità, gioca bene al calcio, si muovono tutti in funzione di un sistema di gioco più appropriato alle loro qualità. Adesso, però, bisogna vedere quanto dura. Saiamo alla quindicesima giornata e, quindi, ne possono succedere ancora tante, nel bene e nel male”. 

Dove crede che ritroveremo la Fiorentina a fine stagione?

“Io mi auguro, intanto, di migliorare la posizione dell’anno scorso, ma sarebbe stupendo se potesse lottare, non dico per la Champions, ma per un posto in Europa League, visto che non l’ha mai fatta e che giochiamo spesso in Conference. Vorrebbe dire giocare per la quinta e la sesta posizione”.

Cos’ha già e cosa manca a Moise Kean per diventare il centravanti di riferimento della Nazionale?

“Intanto, in Nazionale c’è già. Ma siccome Spalletti gioca con una punta sola o gioca lui o gioca Retegui o, quando tornerà, Scamacca. Io in Moise ci ho sempre creduto. Per dire se sarà un grande campione, però, bisogna aspettare perché, purtroppo, in tanti altri momenti il ragazzo ci ha illuso. Se noi partiamo dal presupposto che l’anno scorso in 19 presenze con la Juventus non ha fatto neanche un gol, capiamo che parlare di grande campione è eccessivo, però ha le qualità per potersi affermare”.

E come può salvare la stagione la sua Roma? Crede che Ranieri riuscirà a mettere tutti d’accordo?

“Se arrivano i risultati sì, altrimenti ci va di mezzo anche Ranieri, il calcio è fatto dei risultati. Adesso la Roma ha un’opportunità importante perché gioca degli scontri salvezza. Perché oggi la Roma gioca per non retrocedere, la posizione in classifica è quella che è, in piena zona retrocessione. Dopo la partita con il Lecce va a Como in un altro scontro salvezza e, successivamente, ha il Parma in casa che è un altro scontro salvezza. Se fa sei punti in queste partite fa un salto di classifica, ma se ne fa meno e la situazione rimane esattamente quella attuale vorrà dire che anche la cura Ranieri non ha funzionato”.

È stato giusto affidarsi a un traghettatore fino a fine stagione o era meglio cominciare sin da subito un progetto a lungo termine?

“Assolutamente sì. In realtà, io avrei ripreso De Rossi, ma non c’è persona migliore di Ranieri per poter gestire la società e la squadra”.

Sono passate oramai diverse settimane: che idea si è fatto sull’esonero di De Rossi?

“Sono stati molto precipitosi, una società di dilettanti perché tu non puoi rinnovare il contratto a un allenatore tre mesi prima per tre anni e poi, dopo quattro partite che sono nate male, lo mandi a casa. È un controsenso, però i soldi sono loro, facciano come gli pare, ma li stanno regalando. In questo momento, il vero problema della Roma, più della situazione di classifica, è che non c’è società. I Friedkin, padre e figlio, non si sa dove siano e abbiamo un direttore sportivo che parla solo francese e ogni tanto accena qualcosa in italiano. Peggio del così la cosa non poteva andare”.

Roma-Lecce del 1986 che costò lo scudetto e Roma-Liverpool del 1984 che costò la Coppa dei Campioni. Più dolorosa la sconfitta contro il Lecce o quella in finale contro i Reds? 

“Le sconfitte sono tutte dolorose. È chiaro che quella in Coppa dei Campioni brucia… La sconfitta con il Lecce ci può stare, non è la prima volta che succede che un grande club perde con una squadra retrocessa, ma quando perdi una Coppa dei Campioni e in più sbagli il calcio di rigore, è chiaro che il rammarico è molto più grande”.

Come si spiega che due delle sconfitte più dolorose della storia della Roma siano arrivate all’Olimpico? La pressione della piazza è diversa che altrove?

“No, no. È fantastico giocare a Roma, c’è un affetto, un entusiasmo incredibile e, quello romanista, è un popolo che spesso ti accusa solo se non ti impegni, altrimenti accettano tutto. Sono molto disponibili e competenti, i tifosi della Roma, e l’entusiasmo che c’è intorno a quella squadra è fantastico. Non c’è pressione, secondo me, è solo entusiasmo”.

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