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BONI: “Roma-Juve è importantissima per i giallorossi”

Di Franco Bovaio – Roma-Juve, il nostro derby, come diceva il presidente Viola. Di questa sfida ci parla Loris Boni, gloria giallorossa degli anni ’70. Poi capirete il perché.

“Sarà una partita fondamentale e importantissima per la Roma, perché con una vittoria si porterebbe a due punti dal Bologna e a tre dalla stessa Juventus, che sentirebbe anche il suo fiato sul collo. Ma sarà pure una partita difficile per la Roma, perché la Juve sa difendersi bene, anche se secondo me gioca il peggior calcio del campionato. Per batterla, però, i giallorossi dovranno mettere da parte la sconfitta dell’altra sera con i tedeschi, perché arrivare ad una semifinale europea è comunque un gran risultato e ci può stare che la perdi. Ora si devono concentrare solo sulla Juve, perché credo che la Roma possa far sua questa partita”.

Tu hai vinto un Roma-Juventus che è rimasto nella memoria di tutti noi tifosi più attempati. Parlo del 3-1 del campionato 1976-77, quello che i bianconeri vinsero facendo 51 punti su 60 precedendo il Torino, secondo con 50 punti. Due squadre fenomenali che, però, voi batteste entrambe all’Olimpico.

“Già, perché battevamo le squadre forti e perdevamo punti con quelle più deboli. Non so perché era così, forse perché contro queste ultime avevamo dei cali di tensione mentre contro quelle più forti ci caricavamo. Ricordo, infatti, che abbiamo conquistato vittorie importanti e perso partite sciagurate. C’è anche da dire che in quegli anni fummo decimati da infortuni di giocatori importanti e che, non essendoci il mercato di riparazione a gennaio come oggi, se perdevi qualcuno per strada dovevi andare fino a giugno senza rimpiazzarlo. Nonostante questo qualche soddisfazione ce la siamo comunque presa, come quella vittoria contro una Juventus che era uno squadrone. Segnarono Agostino (Di Bartolomei, ndr), Bruno (Conti, ndr) e ci fu un’autorete di Morini. A centrocampo io me la vidi con gente del calibro di Tardelli, Benetti, Furino. Soprattutto con quest’ultimo, perché Liedholm voleva che marcassimo a zona, non a uomo e lui capitava spesso in quella di mia competenza. Diciamo che io e lui demmo vita a duelli “dinamici”. Ma che giocatore che era, come tutti i suoi compagni e molti dei miei”.

Campioni veri?

“Sicuramente. I giovani di oggi dovrebbero ripassare un po’ la storia del nostro calcio per capire che non si diventa campioni dopo due partite, ma dopo intere annate giocate ad alti livelli. Come era per noi. Io arrivai alla Roma dopo aver giocato quattro stagioni da titolare alla Sampdoria. Dico quattro stagioni, non due partite. Noi facevamo sei ore sul campo e una in palestra. Oggi è il contrario. Per questo avevamo più tecnica di molti calciatori di oggi, che corrono tanto ma non sanno neanche stoppare un pallone. E un mister con Liedholm per migliorare la nostra tecnica ci massacrava di esercizi. Alla fine di ogni allenamento ci teneva delle belle mezzore a fare il muro con il pallone. Per non parlare dei compagni di squadra. Io ho avuto la fortuna di averne di grandissimi come Lodetti e Suarez alla Sampdoria e come De Sisti, Cordova, Di Bartolomei, Conti, Prati alla Roma. Calciatori che in campo facevano quello che volevano e che mi hanno insegnato molto. Su tutti Suarez. Se sono diventato un giocatore vero lo devo a lui, un campione umile”.

Ma quale è il segreto per diventare un campione?

“Avere la continuità. Quella che manca a tantissimi dei calciatori di oggi, che vengono troppo esaltati dopo una sola partita giocata bene, tanto che poi scompaiono per le seguenti cinque/sei. Il campione, invece, è continuo e la continuità di rendimento è la sua forza, è quella sulla base della quale si può giudicare se uno è un campione o un giocatore normale, di quelli che non faranno mai la differenza”. 

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