NATI OGGI.. Fernando FABBRI
Il 4 febbraio del 1926 nasce a Zagarolo una delle colonne piu importanti della grande Roma degli anni ’80, quella di Dino Viola e Liedholm, quella che poi arrivò al piu alto livello della sua storia, tra Scudetto, Coppa Italia e la finale di Coppa dei Campioni: in quelle foto vedrete tanti volti noti, tra calciatori e non, e poi un ‘omone’ gigante, all’anagrafe Fernando Fabbri. Per capire chi era, e quento fosse importante in quel gruppo, provate a chiederlo a qualsiasi dei suoi ragazzi e vedrete che ancora oggi gli verranno gli occhi lucidi in ricordo di un grande dirigente ma soprattutto un grande amico.
Ci ha che ci ha lasciato il 17 gennaio 2007 e per ricordarlo al meglio per chi era, ma soprattutto per chi non ha vissuto quegli anni, vi riproponiamo una sua intervista alla nostra rivista, una delle tante… Attraverso le sue parole ed il suo operato, ancora oggi tanti dirigenti sportivi potrebbero imparare tante cose…
Ha perfino dimenticato il giorno in cui mise piede alla Roma. «Sono passati tanti anni e mi sembra di essere qui da sempre…».
Fernando Fabbri… accompagna da una vita, e la Roma l’accompagna ventiquattro ore al giorno «anche quando dormo cerco di risolvere qualche problema».
E’ depositario di mille segreti ma chi lo conosce sa ch’è la discrezione fatta persona: il sorriso ammaliante nasconde la scorza da sergentone e gli unici a conoscerlo sotto questa veste sono stati. nel corso degli anni, gli invadenti tifosi che hanno sempre cercato di sfondare il bunker da lui costruito attorno alla squadra.
Fabbri è un cerbero. tuonò un esagitato durante un ritiro pre-gara a Busto Arsizio: i giocatori risero, lo presero in giro e lui fu pronto a ribattere: «Il giorno che decido di sciogliere i cordoni sono dolori per voi».
Eh sì, perché ufficialmente ha la qualifica di accompagnatore ufficiale della prima squadra, ma nei fatti è il tuttofare.
Un po’ padre e un po’ confidente, l’amico e il seccatore, perfino un po’ mamma quando si tratta di soddisfare qualche capriccio dei campioni. Della Roma sa tutto, avendola conosciuta prima Rometta e poi Campione d’Italia, ad un passo della Coppa dei Campioni, festeggiante per le Coppe Italia.
«I ricordi sono davvero tanti, così come sono numerosi i ragazzi con i quali ho avuto l’opportunità di vivere. La Roma è stata la mia ragione di vita al di fuori della famiglia, proprio la famiglia è stata la prima buona consigliera, accettando tutto ciò che decidevo di fare, rubando tempo prezioso in casa. No, non mi sono mai pentito della scelta che ho fatto perché la Roma è qualcosa di molto importante. Chi non vive all’interno del mondo del calcio, soprattutto chi non è appassionato di questo sport non può capire. Qualcuno considera degli scemi i tifosi che vanno alla stadio, immaginatevi cosa può pensare di quanti, come me, impiegano il loro tempo per il calcio che va dal lunedì al sabato».
Liedholm. Eriksson, Radice, Bianchi: gli ultimi quattro allenatori hanno rappresentato per Fabbri quattro momenti diversi dal punto di vista operativo.
Racconta: «Liedholm non ti dava mai pensiero. Non c’era contrattempo che potesse turbarlo. La cosa più delicata riguardava le sue fissazioni, così almeno le chiamavano i giocatori: la scelta degli alberghi, del numero delle camere e via dicendo.
L’esatto contrario di Eriksson: che signore! Mi sono stupito in più di una occasione pensando che era svedese come Liedholm. Stesso paese natale ma due mondi diversi. Eriksson era pragmatico. professionale al punto da prevedere anche le cose marginali. Con lui sapevi sempre cosa fare. La parentesi con Radice è stata spassosa: un personaggio che pochi conoscono a fondo. Molti gli hanno riconosciuto la straordinaria abilità di saper cementare il cosiddetto spogliatoio ma io che l’ho visto lavorare all’interno dello spogliatoio stesso dico che è geniale. I giocatori finiscono con l’adorarlo. In quell’anno trascorso al Flaminio fu capace di costruire una squadra dalla mentalità vincente. E sempre in allegria, con tutti.
Con Bianchi ho invece avuto un momento di sconforto: il passaggio fu infatti traumatico perché l’attuale mister è una sorta di computer, qualcosa di più di un allenatore. Interpreta il ruolo in maniera assai differente dagli altri colleghi: programma tutto, è meticoloso. Ricordo il giorno in cui, all’inizio della sua gestione gli dissi: «Mister, ci dia il tempo di imparare…». Eccezionale, tant’è che adesso penso racchiuda le doti umane di tutti gli altri tecnici con i quali ho avuto l’opportunità di lavorare».
Non vuol menzionare giocatori: «Dovrei fare un elenco sterminato. Sono convinto che finirei col dimenticarne qualcuno. Come è facile immaginare, sono davvero tanti i ricordi e ognuno dei ragazzi che ho conosciuto mi ha regalato qualcosa, non solo dal punto di vista sportivo. Ci sono stati giocatori ai quali sono stato legato per la straordinaria carica umana, cioè per tutto ciò ch’erano capaci di fare fuori dal campo».
E il futuro? Fabbri non si concede sentimentalismi, sembra non avere tempo per i rimpianti: «Preferisco guardare sempre avanti visto che chi si ferma, magari solo a riflettere, è perduto. Per me la Roma del momento è sempre la più bella, quella che ha bisogno di maggiori attenzioni. Certo, gli anni dello scudetto e della Coppa dei Campioni resteranno per sempre dei cari ricordi, ma preferisco non sfogliare quell’album. Mi sentirei già in pensione…».
Di pensione preferisce non parlare. Quella «ufficiale» l’ha ottenuta già da qualche anno, ma fu solo un alibi per dedicare maggior tempo alla Roma.
Una ragione di vita, appunto.