ROMA-LECCE. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Esultanza (Lukaku) e goal (Azmoun) anni ‘80, alla Bomber Pruzzo; partita zemaniana stile Roma-Fiorentina ‘98, quando Alenitchev e Totti sfruttarono la verve dell’indemoniato Bartelt.
È un “normale” Roma-Lecce ma entra, di diritto, nel computo di quelle gare che si useranno come termine di paragone.
Se la Roma ha la forza di comprenderlo, il match di ieri sera potrebbe anche rappresentare lo spartiacque di questa stagione.
È bastata una sconfitta di misura con la schiacciasassi Inter – unita a una settimana senza partite – perché venissero fuori analisi, approfondimenti, pregiudizi, che avevano ovviamente come bersaglio Mourinho.
Figuriamoci i de profundis dopo una sconfitta, o al massimo un pareggio, con i salentini: entrambi risultati immeritati, tra l’altro, visto il primo tempo giallorosso da 3-0 senza discussioni.
Invece alla Roma – è Storia – “piace” complicarsi la vita: rigore sbagliato dopo 4’ – a Torino o Milano non te lo danno mai, va detto – con la solita noiosa riproposizione del portiere romano e romanista che da il “La” alla serata-Yashin.
Il penalty nasce da un errore di Dybala: in forma, non sbaglia mai quello che era un goal fatto. L’argentino, nel primo tempo, fa cose di grandissima qualità ma, allo stesso tempo, non trova la precisione assoluta.
Tanto che, quando a pochi minuti dal termine dei primi 45’ si infortuna leggermente e Azmoun inizia a scaldarsi, il pensiero che Paulo non rientri dopo l’intervallo si fa forte.
Come un anno fa contro il Torino – rigore sbagliato da Belotti – Dybala non calcia massima punizione e altri piazzati (è successo pure con Pellegrini): onestamente, un qualcosa che non si vede da molte altre parti.
Nella ripresa cala Aouar, reduce per me dal miglior primo tempo della sua carriera romanista: inizia a perdersi in leziosismi, che rischiano anche di portar prima in svantaggio la Roma.
0-1 che arriverà con Mancini che prima cerca un passaggio rasoterra non nelle sue corde; poi valuta male il rimbalzo del pallone, lasciando a Banda la possibilità di puntarlo in velocità. Llorente è forse troppo morbido nel contrasto e Almqvist ne approfitta. Ieri, per la prima volta, un ottimo Ndicka, puntale in tante importanti chiusure.
Fuori El Shaarawy, che fa grandi recuperi difensivi, serve un ottimo pallone a Lukaku ma è troppo altruista quando, invece, è il belga a lanciarlo verso la porta.
Fuori anche Karsdorp, da diversi minuti in affanno: ma basta vedere i 12’ più recupero di Kristensen per capire perché Mourinho tenga l’olandese in campo ben oltre il limite delle sue forze.
La Roma ora è in campo con il 4–2-4: nella carriera di Mou tutt’altro che una novità; anzi, spesso e volentieri decisiva in senso positivo.
Forse il miglior cross delle ultime tre stagioni della Roma, quello effettuato da Zalewski: Azmoun di testa spacca la porta.
Entra in campo l’Olimpico: Dybala recupera un pallone dopo un fallo non fischiato su Zalewski e serve Lukaku; Touba si illude di poterlo anticipare ma il belga ci mette tutto il repertorio di forza e freddezza, per dare alla Roma questi tre punti importantissimi.
Chi va all’Olimpico sa, sente che può accadere sempre qualcosa di incredibile, ancor di più in Coppa; lo stesso percepisce la squadra e i suoi avversari. Il merito, checché ne pensino i detrattori, è di un sol uomo.