BAYER LEVERKUSEN-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Eppur si va. Da tempo alle prese con la gestione di Dybala, senza il miglior Wijnaldum, senza Smalling per un mese, senza El Shaarawy, con alcuni (Spinazzola e Celik) alle prese con problemi muscolari, la Roma arriva comunque in finale. Per merito innegabile, se non quasi esclusivo, di José Mário dos Santos Mourinho Félix.
Che gestisce, con consueta abilità, un gruppo stanco, privo appunto dei suoi pezzi migliori, di attaccanti che segnino o tengano su un pallone e privato in campionato, nelle ultime settimane, pure dei punti che gli avrebbero permesso di inseguire la Champions League da un doppio fronte.
La gestione è tutta dei padroni di casa: tolto il polipesco Matíc e un brillante Pellegrini, sono in pochissimi a tener su il pallone e a guadagnare punizioni che facciano respirare la squadra.
Quindi ecco la Roma che resiste e lotta, non cede agli infortuni e, anzi, trova nei giovani lanciati da Mourinho ulteriore linfa per portare a casa una gara di rara sofferenza.
Zalewski da un lato e Bove, che finisce da esterno, dall’altra, sono le migliori risposte ai luoghi comuni che accompagnano l’allenatore portoghese, già nella storia romanista al di là di come finirà a Budapest.
Rui Patricio se la cava, così come Ibanez; Mancini è sempre puntuale, Cristante è quasi commovente: tutto in questa squadra emana lo spirito del suo condottiero, straordinario come sempre anche davanti ai microfoni, dove non dimentica un pensiero per l’Emilia-Romagna.
Si sta un po’ a terra quando si subisce un colpo alla testa; ci si fa medicare prima di rientrare e chiedere il cambio. Escamotage legali per far passare il tempo, che ti mandano ai pazzi quando fatti contro di te e in estasi quando invece sei tu che giochi con il cronometro.
Ho visto avversari protestare su ogni fallo laterale; una panchina tedesca entrare in campo per ogni punizione a metà campo: anche qui, a proposito di luoghi comuni, chissà cosa hanno pensato i censori delle intemperanza della panchina della Roma.
A guidare le proteste locali, un pessimo Xabi Alonso: novello Carlos Bianchi, ha vissuto con l’illusione che bastasse continuare a inserire attaccanti per segnare a una squadra che avrebbe dato la vita, pur di non farsi fare goal.
Il fotogramma dei 102′ totali di gara è il colpo di tacco di Matíc al minuto 89, al limite della sua area: con la Roma sotto assedio, a un passo dalla qualificazione o dall’eliminazione, ecco la serenità del campione, che effettua una giocata da cardiopalma cose se stesse bevendo un caffè al bar.
Ora serve un po’ di fortuna: a partire dal recupero degli infortunati e dei minuti da far mettere nelle gambe – contro Salernitana e Fiorentina – ai giocatori appena rientrati o in procinto di farlo.
In più, prima della finale, sarebbe bello e rassicurante un comunicato che annunci, se non un prolungamento, almeno l’ufficialità della permanenza di Mourinho: non togliete questo sogno ai tifosi romanisti.