ROMA-GENOA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
Incontrare il Genoa mi spaventa sempre, per la statistica che lo vede mai vittorioso all’Olimpico.
La premessa è che si affrontava una (buona) squadra di B: ma, in gara secca, non si può sottovalutare nessuno, come nuovamente insegnato dalla tre giorni di Coppa.
Roma offensiva negli uomini, con Bove sugli scudi, accanto a un Matic lucido, (quasi) assistman per lo sfortunato Pellegrini e a un Ibañez sempre puntuale.
Più di questi tre, solo Dybala: Mourinho lo deve mandare in campo perché – detto della traversa di Pellegrini e di un’occasione per Abraham, servito benissimo dal capitano – il predominio dei primi 45’ risulta sterile.
L’argentino, celebrato come campione cel mondo prima del match, costringe presto Martinez agli straordinari e poi lo brucia di classe e forza, dopo buon break di Mancini.
Si nota sempre questo “livello superiore” che lo riguarda: averlo con continuità, o meno, fa tutta la differenza del mondo.
Anche perché, lì davanti, ci sono numeri impietosi, compresi quelli di Zaniolo: per me da difendere per il giustificato nervosismo, visto il trattamento – chiaro già dal primo fallo non fischiatogli – che gli riserva il signor Feliciani di Teramo.
Zalewski, El Shaarawy, Bove, Zaniolo, Abraham, Dybala: in un match da portare a casa sono troppi, tutti insieme, perché non si rischi qualcosa e Mourinho non intervenga.
Tra i subentrati, Spinazzola: salta il primo avversario, lo chiudono. Risalta il primo avversario, lo richiudono. Bicchiere mezzo pieno per gli spunti o mezzo vuoto per non il non portarli a termine?
A meno di eventi clamorosi, i quarti si giocheranno a Napoli. Dove la Roma potrà attendere chiusa l’avversario e ripartire: il canovaccio migliore per la cinica – cosa non consueta, nella nostra storia – squadra di Mourinho.