ROMA-TORINO. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – “E adesso chi faccio entrare?!” urla Fabio Capello. Roma-Udinese 1-1, aprile 2000: panchina di ragazzini; esterni di centrocampo, Manuel Blasi e Sergej Gurenko. I commenti? “Si dimetta”; “E’ bollito”; “Non facciamo due passaggi di fila”; “Dov’è il gioco?”.
Tutto questo per arrivare dove? Che se poi gli prendi Batistuta, Emerson e Samuel, il vincente – anche se non ti farà mai lustrare gli occhi per quanto proposto – ti porta al successo.
Se sperate di vedere la Roma di Mourinho giocare bene – e fare risultato – senza Wijnaldum, Dybala, Pellegrini e Matic a mezzo servizio, avete riposto male le vostre attese.
E non è assolutamente una critica al portoghese ma, anzi, il suo valore aggiunto: lui – e quelli come lui – non fanno gli insegnati, non formano: quello è un altro mestiere. Lui – e quelli come lui – sanno farsi prendere i migliori e dai migliori estraggono il massimo. Ottenendo successi.
Quando le cose non funzionano, quando la qualità è bassa, non arriva lo “schema” a illudere che farai più del sesto posto: ci sono i Roma-Torino 2022 o i Roma-Udinese 2000.
Ieri è stata esattamente la partita che mi attendevo, sebbene sperassi che Abraham fosse quello di mercoledì scorso e non quello di gran parte delle stagione: inevitabili i fischi al momento del cambio.
Come inevitabile che Volpato, alla seconda consecutiva dal primo minuto e quinta giocata in tredici giorni, proponesse il nulla visto ieri: questo per gli amanti dei giovani in campo, che hanno invece bisogno di un lungo apprendistato prima di determinare con continuità.
Break di Camara, Abraham fa una delle poche cose buone della sua partita servendo Zaniolo: sinistro non male ma in Distinti. Non si prende la porta; non si può segnare.
La specchio si inizia a centrare dopo 70′: nel frattempo la Roma è andata sotto, con Mancini che lascia l’uomo solo e libero al centro dell’area. Poi un periodo di stordimento: il Torino gira palla e i giallorossi non riescono nemmeno a pressare.
Fuori Abraham, che nel frattempo ha stoppato all’indietro un pallone lasciatogli al limite dell’area da Zima; fuori Cristante, costretto sempre a fare il regista per le assenze, esponendosi a non meritate brutte figure; fuori Zalewski, che sta intepretando le partite senza la fame indispensabile per non lasciare presto determinati livelli.
Dentro Belotti, il giovane Tahirovic e Dybala. Un alieno all’Olimpico. Forse al 20% della condizione, rinunciando a calciare angoli (tranne uno), punizioni e rigore, l’argentino fa quello che sanno fare i fuoriclasse: determinare e migliorare chi gli sta intorno.
Belotti entra bene, poi si assume una responsabilità che non gli competeva: apprezzabile comunque, sempre, il coraggio di chi va sul dischetto.
Da dove ripartire? 2 punti in più di un anno fa; a -3 dalla zona-Champions; i rientri indispensabili di Dybala, Pellegrini e Wijnaldum; qualche guizzo dal mercato di riparazione. La stagione è ancora tutta da scrivere.