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ROMA-CREMONESE. A PRIMA VISTA di Paolo MARCACCI

Un’autentica tegola, la cui percezione è aumentata dalla improbabilità statistica di un incidente del genere in una partitella: l’infortunio di Gini Wijnaldum, arrivato subito come idolo, oltre che come grande centrocampista, è stato scioccante per tutti, con un effetto di disorientamento aumentato dal fatto che poco prima avevamo sentito Mourinho fare il suo nome in relazione all’autorevolezza mostrata a Salerno e alle possibilità che il suo utilizzo offre. 

Detto questo, una faida mediatica a base di insulti e minacce nei confronti di chi ancora è un tesserato della Roma, che chi scrive non nomina in queste righe per delicatezza, è quanto di più distante dal sentire comune del popolo romanista. Incazzati sì, ovvio; persecutori mai, a maggior ragione se un ragazzino sta passando ore tormentare per un impatto involontario, per quanto scomposto.

Applausi e un ringraziamento a chi gestisce la comunicazione in seno alla U.S. Cremonese, per civiltà e cavalleria sportiva, sempre sperando che si riesca a tracciare un solco per la semina del buon senso. 

Parlare della partita, con l’incognita dall’approccio da parte dei compagni di Wijnaldum era maledettamente difficile prima del fischio d’inizio: è stato come se la Roma ne dovesse disputare due in contemporanea, la più difficile contro il proprio dispiacere. 

Chi aveva visto la Cremonese della prima giornata contro la Fiorentina, sapeva già che ci sarebbe voluta molta pazienza; gli uomini di Alvini hanno evidenziato nel primo tempo corsa e organizzazione; la superiorità tecnica della Roma ha preteso dispendio e tanta corsa; Dybala che si abbassa per farsi trovare in tutta la trequarti; Abraham che si danna l’anima per fare a sportellate e poi svanire un po’; Zaniolo che sta bene e che va a coprire un quadrato molto ampio d’azione. Poi, come se non fosse bastata la giornata maledetta di ieri, il ventidue si schianta a terra sulla spalla sinistra. Dentro El Shaarawy. Nella ripresa servirebbero maggiori spazi e un’incidenza spietata sotto rete. 

Se ce lo avessimo, metteremmo dentro Belotti. 

Secondo tempo magmatico, connotato da tossine anche nervose e con una Cremonese ancora più viva. Il migliore di giornata, ovvero il totem Chris Smalling, dopo aver sopperito con la lucidità anche alle sviste altrui, va a prendersi la scena nel momento più incerto della gara: apollineo nel posizionamento sul corner di Pellegrini – oggi tessitore e carpentiere, il capitano -, frusta con il collo e fa uno a zero. Pesantissimo gol, urlo raramente così liberatorio. Prosegue in modo faticoso, tra spigolature e denti da stringere contro un avversario che non rinuncia a nulla fino alla fine. 

Termina bene per il punteggio; male per le perdite in termini di uomini, aspettando le varie prognosi. E aspettando anche il canto del Gallo in un’alba che si sta facendo desiderare. Partite come queste, su un campo di patate tra l’altro, valgono più dei tre punti strappati con i denti, perché traducono la convinzione di potercela fare anche quando le idee si annebbiano.