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DIVAGAZIONI ROMANISTE… Da “bimbo” a Carlo V

Di Franco BOVAIO – Ottobre 1981, all’Olimpico si gioca Roma-Fiorentina. La stessa partita che, a campi invertiti, si disputerà lunedì sera, 9 maggio, come posticipo della 36ma giornata di questo campionato che volge ormai alla fine.

In uno scontro di gioco con il mediano viola Casagrande, baffi da pirata e pelata già accentuata, Carletto Ancelotti si infortuna al ginocchio destro. L’urlo del “bimbo”, come lo hanno soprannominato a Roma per la giovane età e l’aria da bravo ragazzo di provincia che si porta dietro, lo sente tutta Italia. Perché il contrasto avviene sulla linea di fondo dal lato del campo dei toscani, sotto la curva nord e le telecamere della Rai sono proprio lì. E riprendono tutto. Immagini e suoni. D’altronde siamo ancora nell’epoca in cui la tv di stato è l’unica del piccolo schermo.

La Roma perde così il suo talento in erba, che Liedholm ha scoperto grazie ad una segnalazione del figlio Carlo. Come mi ha raccontato una volta quando lo intervistai per un libro sui trent’anni dallo scudetto della Roma dell’83: “Prendemmo Ancelotti quando giocava nel Parma come mezza punta. Mio figlio lo vedeva giocare nel campionato di C quando gli emiliani venivano a giocare ad Alessandria, vicino a casa nostra e mi parlava sempre di lui. Così andai a vederlo, ma molti mi dissero che non poteva andare bene per la Serie A perché era troppo grasso. Questo non mi dissuase ed andai ad osservarlo dal vivo altre due o tre volte. Pian piano mi convinsi che, in un ruolo diverso da quello di mezza punta, avrebbe potuto fare benissimo. Così lo volli con me alla Roma e una volta arrivato qui migliorò moltissimo, dimagrì un po’ e divenne un gran mediano. Peccato, veramente peccato per quei due brutti infortuni che subì in giallorosso. Pensate quanto avrebbe potuto dare di più se non fosse stato fermato dalla sfortuna. Sono sicuro che avrebbe potuto fare una carriera ancora più importante, soprattutto nella Roma, da giovane, visto che poi, nel Milan, si è tolto tante soddisfazioni”.

Abbiamo voluto ricordare le parole di Liedholm nel giorno in cui celebriamo lo strepitoso record dell’Ancelotti allenatore, che con la conquista della Liga è diventato l’unico mister ad aver vinto tutti i cinque principali campionati europei, perché di lui “Carlo V” si ricorda sempre. E perché nella gestione dello spogliatoio lo ricorda molto. Non a caso ha detto spesso che lui e Arrigo Sacchi sono stati i suoi maestri. Due mostri sacri del calcio italiano e mondiale al livello dei quali si è elevato anche lui da ormai molti anni. E ne siamo davvero felici. Non solo perché è stato un grande campione della Roma che abbiamo amato di più. Non solo perché della squadra giallorossa è stato anche capitano. Non solo perché spesso Dino Viola diceva che la sua cessione al Milan era l’atto del quale si era più pentito di quelli che aveva compiuto da presidente della Roma. Un errore che aveva commesso per una sua personale valutazione sbagliata sulle condizioni fisiche del ragazzo. Ma anche perché, in quell’autunno dell’81, poco dopo l’infortunio che subì contro la Fiorentina di cui ho parlato all’inizio, ci incontrammo casualmente in un bar vicino casa mia. Entrambi con le stampelle, perché anche io mi ero infortunato al ginocchio. Non il destro, come lui, ma il sinistro. I nostri sguardi si incrociarono e per quel senso di solidarietà che sempre si sviluppa tra persone che stanno soffrendo della stessa malattia, ci sorridemmo e iniziammo a parlare. Come vecchi amici. In quella mezzora che passammo insieme capii che avevo davanti un grande, ancor giovane, uomo. Ma non potevo certo sapere che stavo parlando con uno che poi sarebbe diventato leggenda.

Bravo Carletto. So quello che hai sofferto per arrivare dove sei arrivato (compresa quella dieta che, da buongustaio come sei, ti costa tanti sacrifici, ma che ti imponi per non appesantire troppo le gambe ed evitare, così, le protesi). Ti meriti tutto quello che hai ottenuto. Complimenti!