LEICESTER-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Il King Power Stadium di Leicester è un gioiellino. Ci si avvicina con facilità, in una cittadina dove tutto dista, più o meno, venti minuti a piedi.
Fischio d’inizio e la Roma appare nella sua mai brillante versione d’Inghilterra. Angoli per gli avversari, per fortuna senza conseguenze nefaste.
Perché i giallorossi di Mourinho hanno imparato a saper soffrire. Caratteristica importante per ogni squadra che vuole sempre tornare a casa con qualcosa in più delle belle impressioni lasciate.
C’è Zaniolo: incredibile, al di là di una prestazione non brillante, come si trovi a suo agio da queste parti, dove la lotta in campo è ragione di vita.
C’è l’ormai inamovibile Zalewski: cinque giorni dopo l’ingenuità che ha contribuito al vantaggio nerazzurro, riparte come nulla fosse, in una semifinale europea.
Il polacco di Tivoli lotta, contrasta, riparte con la qualità che lo contraddistingue. Giocata simile a quella per Zaniolo contro il Bodø, la sua: capitan Pellegrini trafigge un altro portiere.
Inizia la fase di gestione e ripartenze: quante ne sbaglia la Roma, per imprecisione e mancanza di cattiveria?
Chiaro allora che, con il passare dei minuti, il Leicester aumenti la pressione, sebbene la vera parata di un attento Rui Patricio sia una: su Iheanacho, nel finale.
Doppia svolta del match: infortunio di Mkhitaryan, costretto a uscire; cambio Vardy-Iheanacho. Così il Leicester costruisce con più facilità il goal del pareggio.
Abraham fa la cosa migliore della sua partita, servendo con splendido tacco Oliveira, che calcia anche bene: il Leicester si salva.
I tamponi nel naso di un monumentale Smalling sono l’ultima immagine dell’intensa serata inglese: 1-1 e tutto da giocare a Roma. Con la spinta dell’Olimpico infuocato, sì: ma con freddezza, calma e raziocinio.