ROMA-GENOA. A PRIMA VISTA di Paolo MARCACCI
L’eventuale aggancio ai record di Conte è in uno sgabuzzino della graduatoria d’interesse, oggi: Mourinho ci teneva e ci tiene, come è ovvio pensare; ma questo mese di febbraio è al tempo stesso una chance, uno snodo stagionale, di conseguenza un rischio e un’ipotetica svolta, con tanto di finale anticipata in Coppa Italia, perché quella di San Siro tale sarà.
Il Genoa non lo conoscono quasi nemmeno i genoani: non è una battuta; è la deduzione figlia di una rivoluzione tecnica cominciata in panchina e proseguita con una serie di nuovi arrivi molti dei quali subito gettati nella mischia. Rivoluzione anche filosofica? Il debutto di Blessin in panchina contro l’Udinese è parso un’affermativa anticipazione.
Primo tempo sostanzialmente complicato per la Roma; i giocatori di Mourinho appaiono sorpresi dall’intensità di Portanova e compagni, si perde qualche pallone di troppo, in qualche altro caso si arriva in ritardo. In ogni caso gara scorbutica, con qualche pallone un pochino pericoloso dalle parti di Rui Patricio e con un finale di maggiore personalità da parte romanista, soprattutto perché Zaniolo è più nel vivo del fraseggio negli ultimi trenta metri.
Però la ripresa ricomincia con la stessa fatica, perlomeno fino al momento in cui arriva Felix, che porta profondità e scompiglio a ridosso dell’area genoana. Nel corso della ripresa e sull’onda dei cambi che aumentano quasi a dismisura la trazione offensiva, la Roma trova le occasioni ma non il dominio assoluto; pur con l’uomo in meno il Genoa resta organizzato e non del tutto rinunciatario, anche in virtù dell’ingresso di Amiri, che è bravo palla al piede e possiede una naturale scelta dei tempi nella dettatura dell’ultimo passaggio. Sovraffollamento offensivo e un cambio, Veretout per Karsdorp, piuttosto originale per Mourinho.
Restano i giudizi di merito per la fatica fatta oggi, ma quando Nicolò Zaniolo sembra segnare la rete del vantaggio la storia della partita sembra sgretolarsi. Invece no. Sembra.
Indipendentemente da ciò che si potrà dire sull’episodio, che orto appare nitido come il pestone di Abraham, resta da analizzare la grande fatica fatta, pur se una eventuale vittoria sarebbe stata meritata. Perché alla fine questo tipo di gare non dominate farà la differenza più degli scontri diretti.