ROMA-BODO. A PRIMA VISTA di Paolo MARCACCI
Quanto è importante stasera? Più di quanto si pensi e non soltanto per riprendersi la testa del Girone C. Quando Mourinho si è detto poco interessato alle rivincite, o calcistiche vendette che dir si voglia, ha detto una piccola bugia, anche giocando con la traduzione di termini che in realtà ben padroneggia.
Almeno in parte, è sorprendente la formazione presentata dal tecnico portoghese, soprattutto dalla cintola in giù: Cristante difensore centrale in coppia con Mancini; niente Calafiori perché Ibanez è dirottato a sinistra; Darboe in mediana con Veretout.
Alla fine del primo tempo, bisogna innanzitutto dire una cosa: anche al termine della gara di andata, avevamo detto un po’ tutti che il Bodo Glimt è una squadra fisicamente tosta, agonisticamente votata all’intensità, ma approssimativa dal punto di vista tattico. Dopo il primo tempo di stasera, paradossalmente più che dopo la gara di andata, bisogna dire che Knutsen ha presentato una squadra dall’organizzazione tattica ben più complessa ed efficace. La Roma? Si dibatte con intensità crescente, ma al tempo stesso con una prevedibilità che agevola la fase difensiva dei norvegesi.
Questa partita è fondamentale per più di un motivo, dicevamo all’inizio. C’è dietro una questione di autostima, di equilibri, di prove caratteriali da offrire.
La Roma la rimette in equilibrio con il gioiello di El Shaarawy, a quel punto sarebbe lecito pretendere una mezz’ora finale di orgoglio, attributi e grande lucidità. Quest’ultima certamente manca, così come difetta, delittuosamente, l’attenzione di Mancini e compagni in occasione dell’ 1 – 2 norvegese.
La confusione del finale porta il pareggio di Ibanez, due mancati rigori per la Roma (niente VAR in questa fase del purgatorio Conference), un forcing intenso ma disordinato dei giallorossi e la mancanza di quel killer instinct che avrebbe fatto portare a casa questa difficile partita a Mancini e compagni.
C’è tanto lavoro da fare; proprio per questo, non disturbate il manovratore.