ROMA-NAPOLI. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
Una cosa andava evitata ieri sera: la sconfitta. Puntuale, invece, ecco un’altra serata amara con una delle principali squadre della nostra Serie A. Una costante degli ultimi due anni.
Possiamo parlare del mancato recupero di Juventus-Napoli in settimana, che avrebbe forse tolto qualche energia agli ospiti di ieri sera: una vergogna lo spostamento, certo, ma faremmo solo del male ai giallorossi se trovassimo l’ennesimo alibi per la gestione di questa squadra.
Alla vista della formazione, lo sgomento: ancora Pellegrini a metà campo, insieme a tre punte più Spinazzola; l’ennesimo suicidio tattico annunciato, cui si sommano i limiti dei singoli, di nuovo esaltati – anziché nascosti – dalle scelte dall’allenatore.
Non sorprende, quindi, che il Napoli abbia il pallino del gioco e sembra pura casualità il fatto che la rete del vantaggio ospite arrivi su una punizione, calciata sul palo del portiere (!).
Demme, Fabian Ruiz e Zielinski fanno un po’ ciò che vogliono, mentre la Roma non ha distanze, non ha spunti e i pochissimi palloni che arrivano lì davanti non vengono sfruttati dalla controfigura di Dzeko, che sembra aver staccato mentalmente dopo la “punizione” post-Spezia.
Il goal del 2-0, ancora con il portiere in giro nella terra di nessuno, è solo l’epilogo ovvio di un altro primo tempo sconcertante, che nemmeno la girata al volo di Cristante, respinta dal portiere azzurro, può mitigare.
Fonseca parla del coraggio della ripresa, assente inizialmente: non considera forse che l’avversario è in vantaggio 2-0 e non ha l’esigenza scriteriata di attaccare e concedere occasioni alla Roma, che arrivano, in sostanza, con un colpo di testa troppo centrale di Pellegrini e con un tiro splendido sempre del capitano, che prende però il legno a Ospina battuto.
Tanti cambi, tutti pressoché tardivi e ininfluenti, mentre Ibanez rischia il rosso senza che si prenda in considerazione l’idea di sostituirlo.
Pedro: male, malissimo, calcia in curva un pallone incredibile e dall’infortunio di dicembre non è stato più il giocatore dei primissimi tempi. Tutto verissimo. Ma se uno che ha vinto tutto, ogni volta che esce discute, dialoga, si chiarisce con lo staff tecnico per ciò che gli viene chiesto o vede in campo, qualche domanda me la pongo.
Non c’è molto altro da dire perché torneremmo su concetti che ci sgoliamo a ripetere da tempo: il problema è che, a questo punto, ci sono ancora meno soluzioni delle parole, con una rincorsa-Champions compromessa non solo dalla qualità degli avversari e dai punti di distanza, ma anche dal modo in cui la squadra viene proposta, che raffredda qualunque sogno di gloria.
L’Europa League? Bisogna provarci con tutte le forze possibili, ci mancherebbe, però anche lì difficile cedere alle illusioni.
La sosta per le qualificazioni al Mondiale in Qatar ci consegna due settimane di analisi e processi che credo – dalle espressioni colte in tribuna – stiano facendo anche i Friedkin. È ora che si definisce il futuro della prossima stagione: servirebbe come il pane un dirigente conoscitore del calcio italiano a indicare la via.