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IL GIORNO IN CUI SMETTEMMO DI ESSERE SIMPATICI di Paolo MARCACCI

Quello fu il momento perfetto.
L’aggiramento di una boa: della storia e, ancora di più, della percezione del destino. Anzi: di quello che poteva diventare il destino e che, nei fatti, sarebbe diventato di lì a poco, vincendo ciò che s’era già meritato in anticipo sugli eventi; altrimenti, Turone non sarebbe diventato un paradigma.

Primo giorno di novembre del 1981, già inverno al Comunale di Torino, eppure un vagito di primavera giallorossa; col portamento più regale di tutti, con l’invisibile scettro in mano, Paulo Roberto Falcao è come se si sedesse a tavola, ospite indesiderato, tra due padroni, anche in senso aziendale, che stanno litigando: malinteso Zoff – Brio, maldestro il tentativo di rinvio dello stopper, riccioli chiari che si materializzano lì in mezzo, nel cuore dell’area. E Ameri irrompe in diretta radiofonica pensando di annunciare soltanto un gol; non può sapere che sta inaugurando un’era.

Juventus 0 – Roma 1: quel giorno per la prima volta toccammo con mano, forse ancora un po’ increduli e diffidenti, la possibilità che la storia potesse cambiare. Quel giorno entrammo nell’ascensore che portava ai piani alti e senza sgomitare: già col vestito elegante.
La presidenza di Dino Viola cominciava a raccogliere i frutti dei suoi investimenti ma soprattutto di una filosofia: imparare l’autostima, pensare possibile la vittoria.

Quel giorno, nella domenica più proibitiva, smettemmo di essere simpatici.

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