COPPA ITALIASTORIA DI IERI di Diego AngelinoTOP

ROMA-SPEZIA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…

di Diego ANGELINO – Semplicemente uno dei momenti più bassi della storia della Roma.

La commistione tra deriva tecnico-tattica e dilettantismo burocratico regala un’altra notte da incubo ai romanisti. Nel trentennale della scomparsa di Dino Viola. Doppiamente vergogna per tutti i protagonisti.

Vergogna che inizia dalla considerazione che l’allenatore dà alla Coppa, ritenuta giusto un’incombenza per dar minuti a chi gioca poco, anziché un trofeo dove andare il più avanti possibile. Lo fa Capello che lotta per lo scudetto, lo accetto; qui no.

Basta con la scusa che si gioca spesso: l’ultima – dove c’è chi è uscito con la divisa pulita – si è giocata venerdi, tra l’altro senza viaggi e spostamenti; martedì in campo metti un’ora i migliori, indirizza la partita a tuo favore, con un avversario che gioca con nove riserve e il portiere volante… Niente da fare.

Non rendersi conto che vincere ieri, dopo venerdì, sarebbe stato doppiamente importante, significa non aver capito nulla di dove ci si trovi.

E allora, ricominciamo: Cristante libero; il rigore non c’è, ma ogni volta che lo si punta va in confusione. Non ha molte colpe: è fuori ruolo.

Il centrocampo è come non ci fosse: se metti Pellegrini (il migliore, anche per lucidità, in questo disastro) accanto a Villar, chi filtra le avanzate avversarie? Veretout, solo 45’ nel derby, guarda la partita dalla panchina per i soliti 70’: Fonseca deve avercelo nel contratto che prima di venti alla fine non può effettuare sostituzioni.

Mettici Pedro, che pare l’esterno honduregno Alvaretto, anziché l’ottimo giocatore anche solo di poche settimane fa; aggiungi Borja Mayoral, che si muove e fa sponde ma sbaglia goal incredibili.

Si può tornare a comprare un centravanti che segni? Niente sponde, niente movimento: solo uno che spacchi la porta, magari nell’unica volta che tocca il pallone in tutta la partita.

Quello che succede nei supplementari avrebbe dovuto portare a diverse dimissioni nell’immediato postpartita: mentre scriviamo, però, ancora nessuno ha fatto ricorso a un istituto che non solo gli italiani evitano con cura.

Prima è ingenuo Mancini, uno dei pochi a mettere carattere nei 90’; poi Pau Lopez si candida per una nuova sigla di Mai Dire gol, calciando un avversario anziché il pallone.

Di Pellegrini, dicevamo, lucido – con 95’ sulle gambe – nel far notare ci fosse qualcosa di strano, mentre il suo allenatore – collaboratori compresi – brancola nel buio inerme, come ogni volta che c’è un’avversità non prevista nella preparazione della partita.

Dzeko si lamenta: cosa dirà? Dovrebbe anche dirci, mentre si lagna, perché anche ieri è entrato come ci facesse un favore, sprecando un’opportunità che avrebbe potuto addirittura dare il 3-2 alla Roma in 9.

Il fatto è che non siamo a fine aprile ma a gennaio: 20 partite di campionato e un’Europa League da giocare offrono ancora l’opportunità di indirizzare positivamente la stagione.

Ma devono cadere rapidamente diverse teste, perché quanto accaduto ieri non può passare sotto silenzio. E si deve cambiare velocemente guida tecnica per propria scelta, prima che sia l’inevitabilità degli eventi a richiederlo.

Senza cercare minestre, più che riscaldate, stantie. Cari Friedkin, se non vi fate sentire ora, quando?

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