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PETRACHI “La Roma può vincere qualcosa di importante. Pedro? L’ho preso io”

L’ex DS giallorosso Gianluca Petrachi ha parlato in una lunga intervista a DAZN. Queste le sue parole:

“Mi sento un leone in gabbia perché mi è stata tolta la la possibilità di poter fare qualcosa di importante, cioè continuare nel progetto di giugno scorso. Ero nella condizione di creare qualcosa di importante e oggi si stanno vedendo i frutti del lavoro fatto lo scorso anno, quindi puoi bene immaginare la delusione e l’amarezza. Allo stesso tempo sono voglioso di poter tornare a fare qualcosa di importante”.

L’ambiente Roma…
Ho scelto di andare alla Roma, una piazza che sapevo che era difficile quindi sapevo cosa mi aspettava, però avevo la voglia e la forza di poter affrontare questa questa sfida. Credo che appena arrivato sia nata subito l’empatia con la gente, con l’ambiente e con la tifoseria perché ho voluto da subito dare il senso di appartenenza a questa società, volevo che non fosse vista come una succursale, l’ho detto anche in qualche conferenza stampa. Ho voluto cercare di mantenere i giocatori più forti o comunque fare in modo che se qualcuno con più denari voleva i nostri giocatori doveva prendersi a peso d’oro. Grande squadra, grandi problemi, però ben vengano: se riesci a far bene in una piazza così impegnativa come quella di Roma è evidente che ti dà una sensazione maggiore. Per cui da questo punto di vista io sono stato consapevole e lo sono tuttora che è un ambiente difficile e una piazza difficile, però ho lavorato in maniera onesta, anche viscerale: il tifoso della Roma vuole vedere questo, vuole vedere quello veramente che si sporca le mani che che che ci mette l’anima si mette il furore la voglia. Io ho fatto questo, ho cercato da subito di insediarmi dentro il sistema di questa tifoseria così passionale, e credo che si stesse facendo un grandissimo lavoro.

Qual era il tuo progetto? Dove volevi arrivare?
L’obiettivo del presidente Pallotta era ringiovanire questa squadra, che aveva giocatori con ingaggi importanti che purtroppo non avevano reso, e prendere profili prospettici di giocatori giovani su cui poi programmare qualcosa di importante negli anni a venire nel triennio successivo (perché poi ai giovani gli va dato anche del tempo); abbassare i costi, perché c’erano dei costi molto molto importanti e cercare di creare un blocco di 3-4 giocatori di esperienza che non costassero troppo, fossero utili alla causa e conformi al progetto tecnico instaurato con il mister. Questo è quello che io ho fatto, nei primi mesi e successivamente al mercato di gennaio.

Villar e Ibanez…
Faccio un esempio: Villar ed Ibanez. Ho preso questi due giocatori pensando al futuro perché sapevo che sia Ibanez che Villar lo scorso anno potevano anche non essere dei titolari, perché Villar veniva della serie B spagnola e Ibanez non aveva fatto un minuto in campionato nell’Atalanta. Puoi ben immaginare che uno dice ‘questo è folle: prende un giocatore della serie B, Ibanez che non gioca all’Atalanta…’. Io invece ho pensato, qualora non dovessimo riuscire a tenere Smalling, perché comunque era in prestito e quindi c’era anche un riscatto importante da eventualmente esercitare; qualora ci siano giocatori in uscita dal reparto difensivo, io mi preparo Ibanez in questi sei mesi per avere un giocatore pronto a giugno del prossimo anno. La stessa cosa per Villar, nel senso che magari il giovane messo dietro ai Pellegrini ai Veretout, ai Cristante, se impara in questi 4-5 mesi può diventare un psuedo titolare da giugno in poi. E ho preso questi due ragazzi: uno l’ho pagato 4 milioni, uno l’ho pagato 9 + 1 milioni di bonus, che poi era anche un pagherò, perché quest’anno lo riscattiamo. Quindi queste sono operazioni che quando le fai qualcuno dice “Ma cosa sta combinando”, la stessa società, soprattutto nell’operazione Ibanez: “Ma come, non abbiamo una lira e spendi 10 milioni a gennaio su un giocatore che neanche dovrà giocare…”. Io ho cercato di spiegare la filosofia per far calcio e per creare una programmazione perché questo deve fare un direttore sportivo.

Sui giocatori esperti…
E quando dico giocatori di esperienza mi riferisco ai Mkhitaryan: un giocatore preso a zero; lo stesso Smalling preso comunque in prestito, giocatori che magari presentavano anche delle problematiche, chi per un problema fisico, chi per un problema di titolarità nella propria squadra . Sono occasioni che un direttore deve sfruttare, altrimenti prendi giocatore lo strapaghi e fai un altro tipo di investimenti. Lo stesso Pedro, perché è un’operazione che ha fatto il sottoscritto: non l’ho chiusa definitivamente firmando i fogli perché ero stato già mandato via, ma nel periodo del lockdown è un giocatore che aveva già chiuso con Fonseca, il mister lo aveva già chiamato per convincerlo del nostro progetto.

Le altre operazioni…
Poi devi trovare le giuste situazioni per assemblare una squadra: mi sono tenuto i giocatori su cui naturalmente credevo di poter contare, vedi lo stesso Dzeko, che per me era imprescindibile, il nostro attaccante; lo stesso Pellegrini, romano e romanista vero che poteva incarnare lo spirito del tifoso romanista; la scelta di un portiere consolidato come Mirante, che è una sicurezza assoluta. Scelte mirate, sempre con l’avallo di un allenatore perché io non ho mai fatto delle scelte su cui mi sono incaponito anche se l’allenatore non lo voleva.

Il rapporto con Fonseca…
Con Fonseca ho avuto un ottimo rapporto, splendido. C’era un chiacchiericcio per cui io e lui non fossimo in buoni rapporti, ma non è così, ci sentiamo tuttora, siamo in un ottimo rapporto. Credo il mister abbia apprezzato il mio modo di essere. Ho cercato di aiutarlo a capire velocemente le problematiche del calcio italiano.

La difesa a 3…
Tante volte con Fonseca è uscito fuori il tema della difesa a tre e lui mi diceva: ‘Gianluca all’inizio bisogna sempre non creare tanti equivoci tattici nei giocatori, cercare di dargli idee su cui possano mettere le fondamenta. Poi non sono un’integralista, l’ho già fatta in Ucraina”. Poi io lo vedevo sul campo, perché tante volte provava la difesa a tre in funzione degli avversari. Fonseca sa come insegnare la difesa a 3 e la difesa a 4. Quando dice, in ultimo in una recente intervista, che sulla difesa a tre c’era stato un confronto con Petrachi ma poi ha deciso lui, certo che ha deciso lui, doveva decidere lui. Ne abbiamo parlato e ne parlavamo già a gennaio-febbraio di questa cosa, che secondo me per le caratteristiche della squadra mi sembrava fosse il vestito più adatto alla Roma, ma alla fine lo ha deciso lui, io non sono mai più entrato nella diatriba o nella conversazione. Io la vedo così, perché i terzini sono più bravi a spingere, come Peres e Spinazzola e con una difesa a tre li proteggiamo dal punto di vista difensivo, oltre a sprigionare i talenti offensivi. Ma è Fonseca che ha scelto, io ho detto che ne abbiamo parlato ma è totalmente una scelta di Fonseca.

Ibanez…
Ibanez ha tutto per diventare un difensore centrale molto molto forte, perché ha forza, qualità ed è determinato, ma c’è un altro aspetto su cui voglio arrivare: quando l’ho preso alla Roma si allenava quasi al 50%. Fonseca mi disse: ‘Gianluca, non mi sta piacendo, cosa ne pensi tu?’. ‘Non è quel giocatore che io ho visto e che ti ho prospettato’. ‘Forse è il caso che tu ci parli’, mi disse. Così io ho preso questo ragazzo e ho toccato le corde giuste, perché gli ho detto: ‘Guarda io ci ho messo la faccia, ma quella la posso perdere. Chi ci perde di più sei tu. Da questo momento ti voglio vedere col coltello tra i denti perché ti rispedisco indietro. Se non giochi alla Roma, non hai giocato l’Atalanta, puoi andare in una provinciale ed essere un rincalzo ma hai finito. Quindi da questo momento o ti metti sotto, o ti metti sotto’. Devo dire che il ragazzo è stato molto recettivo, essendo anche molto orgoglioso e molto intelligente, ha preso tutto ciò che gli ho detto. Ho trasferito a Fonseca questo tipo di confronto molto duro, molto aspro, che c’è stato, e da quel momento Ibanez è partito. E non è un caso che poi è diventato un titolare, se non fosse stato pronto magari il mister avrebbe continuato a dare più spazio a Jesus o Fazio.

Chi vince lo scudetto?
C’è un aspetto che nessuno considera: il fattore campo. Per dire, giocare nella Roma non è semplice: quando c’è pressione, diventa positiva quando le cose vanno bene, ma se le cose non vanno bene il pallone brucia. Squadre come il Sassuolo o la Roma sono squadre che secondo me possono tranquillamente puntare a vincere qualcosa di importante. Fare la griglia delle prime quattro secondo me è difficile perché ci sono più squadre.

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