ROMA-UDINESE. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
In tante occasioni, negli ultimi nove anni, ho sperato che il fondo fosse stato toccato: ma la Roma americana riesce, al contrario, a prendere ogni volta la pala e a scavare ancor di più.
Ora andiamo al campo, ma la premessa è sempre la medesima: non si può gestire una società di calcio italiana stando da qualche altra parte nel mondo; il tutto aggravato dal desiderio di disfarsene il prima possibile. Se non c’è società, non c’è squadra: al di là del livello dei singoli elementi.
La partita ci dice che i sei cambi della passeggiata domenicale a S. Siro diventano otto, per affrontare una squadra che non vince da gennaio e che ha, con la Spal, il peggior attacco della A.
Sfido chiunque abbia seguito almeno una gara di calcio nella sua vita a non domandarsi, una volta visti gli 11 della Roma in campo: “Ma che formazione ha fatto?”.
Dicevamo del peggior attacco della massima serie: con Bruno Peres e il lontano ricordo del Fazio che abbiamo conosciuto, però, non si può che rivitalizzare anche Lasagna. Il centravanti ospite sprinta sulla fascia, al solito sguarnita quando gioca il 33, e supera l’argentino manco fosse il Bolt dei tempi d’oro.
Siamo già sotto; l’ex Okaka è in fuorigioco sulla traiettoria del tiro di Lasagna, ma nessuno si prende la briga perlomeno di chiedere all’arbitro: perché dovremmo farlo noi?
A ingarbugliare qualcosa di già inestricabile ci si mette pure Perotti: Guida, per me, è molto fiscale, lasciandosi ingannare della teatralità dell’intervento. Il capitano di serata, semplicemente arriva tardi, facendosi anticipare, perché non ne ha: che è forse paradossalmente peggio del raptus che coglie quando si fa un’entrataccia.
Il massimo della protesta, anche qui, sono le braccia leggermente allargate di Under: di nuovo, perché dovremmo allora preoccuparcene noi?
Bruno Peres la vuole chiudere già nel primo tempo e prova a lanciare De Paul verso Mirante: Fonseca non si scompone e lo lascia in campo un’altra mezz’ora; l’importante, tanto, era solo liberarsi di Florenzi.
Su molti altri, che sguazzano solo nella mediocrità senza errori eclatanti, evitiamo di spendere righe: li avete visti tutti, da Kalinic a Under. Salvo Carles Perez, che almeno prova a calciare verso la porta avversaria; Mirante, che mette pezze dove può; Cristante, costretto a fare il regista e, nel suo piccolo, tra i pochi a lottare sempre.
Sulla carta manca “solo” un mese alla fine di questo scempio; 29 giorni però colmi di partite: avete intenzione di affrontarle tutti così?