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TOTTI “Per me la Roma è unica come i suoi tifosi”

L’ex capitano giallorosso Francesco Totti ha rilasciato un’intervista allo speciale mensile di “Libero”, una rivista sportiva spagnola. Queste le sue parole:

“Roma si gode me per il giocatore e per la persona, per quello che ho fatto. Ma nella vita quotidiana io non me la godo Roma. Tanti monumenti, tante strade, tante cose io fino a oggi non le ho ancora viste. Per esempio il Colosseo l’ho visto tre o quattro anni fa. Una cosa surreale. Io a via del Corso sono trent’anni che non ci vado, l’ultima volta avevo 18 o 19 anni. Non posso fare una passeggiata, non posso andare al Cinema, devo entrare quando il film è iniziato. Sono cose surreali. Però mi piace, mi ci sono abituato, mi fa piacere. Certo, poi ci sono momenti in cui vorresti stare per conto tuo, respirare un po’ di più: sono un essere umano anche io. Mi inorgoglisce perché il rapporto con i romani va oltre il calciatore. Per il fatto che sono cresciuto con una squadra sola mi ha aiutato a capire tante cose reali di Roma. È speciale per me perché sono sempre stato tifoso della Roma, è sempre stato il mio sogno giocare nella Roma con il numero dieci e la fascia di capitano. Una volta che sono riuscito a ottenere questo sogno me lo sono tenuto stretto. Questa è la mia specialità. Roma per me è la città più bella del mondo. Mare, montagna, sole, amici, parenti. Per me è una città che non cambierei con nessun altra al mondo”.

Roma o Lazio?
Non chiedermelo neanche. Per me Roma è Roma. La Lazio non esiste. Non posso fare paragoni. Questo non significa che sto parlando male di loro, assolutamente no. Per me la Roma è unica come i suoi tifosi. Sono appassionati, sentimentali, danno tutto per la maglia.

Sull’offerta della Lazio ai tempi delle giovanili?
Mia madre era laziale perché lo era anche mia nonna. Giocavo alla Lodigiani. I miei genitori e mio fratello Riccardo mi chiamarono per dirmi che c’erano queste due opzioni. Non c’erano dubbi per me, anche perché mio padre e mio fratello erano della Roma. Ho scelto la Roma, anche se volevano che andassi alla Lazio perché pagava. Fortunatamente è stata la scelta migliore.

Cassano?
Cassano è un fratello minore. È venuto a Roma per me che ero, come mi ha detto, il suo idolo. C’era la Juventus interessata a lui, ma ha scelto la Roma. Voleva giocare con me, era innamorato del mio calcio. Non ha avuto un’infanzia facile quindi quando è arrivato a Roma l’ho portato a casa mia con i miei genitori.

Sull’addio al calcio?
Sono coerente con me stesso, con il mio fisico e la mia testa. So che c’è un inizio e una fine. Ma ci sono giocatori come Messi, Ronaldo, io… con il diritto di decidere. Sarei stato un buon elemento per la Roma anche oggi , ma non perché sono Totti, ma per l’ambiente, i giocatori, l’esperienza, il marketing, per tutto. E non avrei dovuto nemmeno giocare ogni partita, ma uno sì e tre no. Venti minuti in una gara, la Coppa … ”

Sull’esperienza di Luis Enrique alla Roma
Luis Enrique a Roma non ha fatto molto bene, anche se è vero che non aveva una squadra per vincere. Ci eravamo già affrontati come giocatori in passato, e mi aveva lasciato il segno: cinque punti sulla gamba…

Com’è vincere con la maglia della Roma?
È speciale perché vince ogni 20 anni. Purtroppo è la realtà. Quando la Juve vince, festeggia solo una notte, la domenica. Tutto finisce il lunedì. Invece, quando abbiamo vinto con Capello, a Roma lo scudetto è stato celebrato per tre o quattro mesi. Una festa non-stop… Perché non siamo abituati. Non siamo il Real Madrid o il Barcellona, che vincono anche in Europa. Se vincessimo tre campionati di fila, forse con il terzo si fermerebbe questa euforia

Sul ruolo dell’allenatore
Ognuno ha la sua opinione. Per me l’allenatore è essenziale, ma più come manager che come capacità di allenare. Se hai una squadra da 20 stelle, è difficile dire a uno di loro come fare la diagonale. Se fossi un allenatore, direi: “mettiti la maglietta e gioca”. Cosa può dire Zidane a Ramos? L’allenatore deve gestire il gruppo. In stile Mourinho, uno intelligente che si assume la piena responsabilità e scarica la squadra dalle pressioni. Per me questo è il concetto di grande allenatore.

Sui calci di rigore e sul ‘cucchiaio’
Sergio Ramos ha la qualità per farlo. Li tira molto bene, è un grande giocatore. Ma è vero che oggi è diventato un gesto banale, come se fosse normale. Il mio era spontaneo, è nato da uno scherzo durante l’allenamento. Questo gesto è sempre venuto istintivamente, a non è mai stato una mancanza di rispetto verso nessuno. Quando giocavo, pensavo a quelli che pagavano il biglietto per divertirsi. Mi piaceva far impazzire la gente.

Sull’esperienza di Monchi a Roma
Ha avuto molti alti e bassi. Non mi sono mai sentito importante nel progetto, anche se lui per me è un dirigente leale, sincero, di grande professionalità. Il cambiamento che ha vissuto non è stato facile. È andato via da Siviglia, dove ha avuto una carriera di 30 anni, per venire a Roma, dove tutti si aspettano il massimo. E’ arrivato in un momento unico nella gestione americana e penso che sia stato mal consigliato. Non si è circondato delle persone che volevano davvero lasciargli fare il suo lavoro. Ha fatto affidamento su altri che pensavano più a se stessi.

In merito al Real Madrid…
Diciamo che all’80% ero indirizzato verso il Real Madrid. Perché poi con la Roma c’erano un po’ di attriti, anche se poi Sensi mi voleva bene realmente. Aveva fatto qualsiasi cosa, le cifre erano alte. Mi avrebbero dato qualsiasi cosa per andare al Real Madrid. Qualsiasi. Tranne la fascia di capitano che era di Raul che era il giocatore che doveva guadagnare più di tutti. Era il simbolo. Qualunque giocatore andasse al Real Madrid, doveva guadagnare meno di Raul. Nel 2004 mi scadeva il contratto con la Roma e ci sono stati alcuni problemi con il presidente per altri motivi, non miei personali. E il Real Madrid mi offriva qualsiasi cifra per andare lì. Ci penso tantissimo, l’80% era per il trasferimento a Madrid. Ilary mi spingeva verso Madrid, mi diceva che avrebbe lasciato tutto e mi avrebbe seguito. Alla fine è stata una scelta di cuore, verso i tifosi, gli amici e la famiglia. Di fare una cosa diversa da tutto quello che c’è stato, da tutti gli altri giocatori. Viravano verso il Real Madrid, il Bayern Monaco, il Barcellona. Io ero invece il giocatore diverso, forte ma che restava con un’unica maglia.

Com’è essere Totti?
Da un lato è bello, ma dall’altro è molto complicato. Soprattutto nella vita privata. Quando hai giocato e ti sei esposto molto però ci sta. Ma la vita privata è molto limitata. Dovrei andare a Cuba, lontano dal mondo. In città come Londra, Madrid, Barcellona quando vado in vacanza è un enorme massacro. Anche in Cina. Spero che tra dieci anni la situazione sarà più tranquilla. Non so se a Roma mi dimenticheranno mai, non si sa mai, potrei ingrassare e perdere i capelli. Potrebbero anche non riconoscermi (ride, ndr).

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