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ATALANTA-ROMA. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI

Più tensioni di quelle accumulate in settimana a Trigoria non se ne potevano avere, pur volendosi impegnare: la conferenza di Petrachi, una sorta di “pomeriggio dei lunghi coltelli” con resa dei conti dialettica (resta da capire fino in fondo nei confronti di chi), ha avuto il potere di distrarre il famigerato “ambiente”, quello che esiste quando le cose non vanno bene e che è una diceria quando, invece, si attraversano cicli vincenti. Scusate per la preistoria.

Forse, col senno di poi, ha tolto qualche tensione alla squadra, pur destabilizzando ulteriormente il cosiddetto mondo – Roma.

Di certo, ancora una volta, Paulo Fonseca in conferenza opta per la soluzione migliore: non commentare la conferenza del suo direttore sportivo.

Veniamo alle scelte: accantonato Kolarov per deficit prestazionale, rispolverato Fazio in coppia con Smalling, Mancini in mediana a far brillare la sua facilità di palleggio; Pellegrini basso in costruzione, Veretout a riposo, Mkhitaryan in posizione di trequartista e Perotti dal primo minuto per suffragare una intenzione che, sulla carta, appare chiara: tentare di sprecare il pallone il meno possibile; prendere in mano il pallino del gioco dopo la riconquista della sfera.

Come inizia il primo tempo? Preferiamo dire come finisce, ossia in modo non tradizionalmente romanista, per quanto riguarda i tempi recenti: con la giusta dose di cinismo nello sfruttare e poi nel capitalizzare un errore avversario, perché cincischia Palomino e Dzeko è, una volta tanto, famelico nel rubar palla e nel battezzare l’angolo verso il quale indirizzare la battuta, anche se il tiro così angolato non è e Gollini certamente non è impeccabile nel posizionamento e nella copertura dello specchio.

Il vantaggio romanista che chiude il tempo arriva verso il termine di una prima frazione che vede per buona parte un’Atalanta avvolgente ma non così cattiva sotto porta; una Roma abbastanza schiacciata per una mezz’ora abbondante ma che rischia di essere sorpresa per davvero soltanto al decimo minuto, quando Gomez si trova davanti uno squarcio di campo sul centro sinistra e punta con rapidità verso la porta: ottima la scelta di tempo di Lopez in uscita bassa, l’interno destro di Gomez gli tatua l’avambraccio.

Problema cartellini: non se ne esce, anche stasera. Mancini quasi subito e Mkhitaryan poi; Orsato è sufficientemente fiscale.

Secondo tempo: arsenico e vecchi discorsi, perché i merletti sono quelli delle giocate orobiche che rovesciano il risultato: pareggia Palomino su un pallone che, dopo aver avuto il tempo di prendere un caffè, spunta alle spalle di uno svagato Spinazzola per battere Lopez. Bene, cioè male: Pasalic per Zapata e, un istante dopo, il nuovo entrato riesce, quasi o nulla contrastato, apre un meraviglioso interno destro che si spegne nell’angolino alto alla sinistra del portiere giallorosso.

La Roma, al solito, si decompone agonisticamente, quindi ancora una volta psicologicamente, poi le gambe le vanno appresso. A proposito, siccome nominiamo sempre la testa, vogliamo chiederci più energicamente come stanno, in effetti, le gambe di questa squadra?

Complimenti al settore ospiti, ancora una volta, vero segno di vita romanista. Per il resto, tutti colpevoli.

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