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ROMA-LAZIO. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI

Un derby non si gioca, un derby si vince-: Rudi Garcia si espose nel proclama pubblico; Paulo Fonseca parte più dal basso, come con il palleggio che supporta la sua manovra e di conseguenza parla di prestazioni e situazioni eventualmente positive. Siamo però certi che il tecnico portoghese a se stesso abbia detto, con accento diverso, la stessa frase che divenne il mantra del francese, a cui peraltro dopo quella conferenza arrisero gli eventi. 

Che vigilia è stata? Un po’ avvelenata dall’idiozia, quella che non ha colori, lo diciamo subito, perché a caratterizzarla è solamente il grigiore dell’ignominia, del disprezzo. 

Una Roma rimediata, a livello di formazione, messa in campo funzionalizzando le esigenze alle disponibilità, o viceversa se preferite. Tanto il risultato è lo stesso: i pochi abili e arruolabili vanno in campo, anche quelli come Cristante i quali, parole di Fonseca, tre partite di fila dovrebbero evitarle, ora come ora. 

Scenografie di grande impatto cromatico, dalla Nord alla Sud; da una parte la cornice bianco celeste in cui è incastonato un particolare michelangiolesco; dall’altra una rivendicazione di appartenenza e di legame con il vecchio simbolo. Forse non è un caso, visto che di fatto siamo alla fine dell’era Pallotta. 

Roma intensa, sul nascere della partita, con la chiara disposizione difensiva a tre e con uno Smalling che oggi sembra un David di Donatello vegano, quindi più longilineo e più bello. 

Due errori dei portieri, Strakosha prima e, soprattutto e dolorosamente, oltre che inspiegabilmente, Pau Lopez dopo, che reinventa, tra l’altro mettendo fuori causa Smalling, un pallone che apparecchia nel cuore dell’area piccola l’uno a uno firmato dal sinistro di Acerbi. 

Dopo l’uno a zero trovato da Edin Dzeko, quasi veggente nell’anticipare l’uscita cervellotica dell’estremo difensore laziale, una squadra più cinica della Roma in fase realizzativa avrebbe probabilmente trovato il raddoppio, anziché subire un pareggio così episodico. 

Il tempo si chiude con un tributo agli amanti della storia dell’arte, perché michelangiolesco, per usare di nuovo l’aggettivo, è il destro a giro di Pellegrini che batte sul palo alla sinistra di Strakosha. 
Vediamo. 

Secondo tempo con Patric al posto di Luiz Filipe, per quanto riguarda gli uomini di Inzaghi. 

Sembrerebbe nitido il rigore per la Roma, dopo l’impatto dello stesso Patric con Kluivert; Calverese prima lo assegna poi si trasforma in Cal – VAR – ese, perché recede dalla propria decisione dopo il conforto dell’ausilio delle immagini. 

Roma autorevole, questo è il parziale bilancio quando se ne sono andati i due terzi di gara. Quanto pesa quell’errore, Pau Lopez mio, ma quanto…
Minuto 71: Parolo per Luis Alberto, che esce polemizzando con Inzaghi. Poi tocca a Caicedo per Correa. 

Roma che continua a meritarsi il vantaggio, per intensità e cifra, stilistica oltre che statistica, del possesso palla. Però prima Veretout, poi Kluivert, arrivati al punto di battuta dai venti metri mancano l’appuntamento col destino. 
È il miglior Ünder stagionale, quello di oggi, senza se e senza ma. 

Minuto 81: Perotti in luogo di un Kluivert che oggi ha soddisfatto Fonseca quanto a sacrificio e zolle di campo calpestate. 
Arriva poi Kolarov per Santon, applaudito con convinzione. 

La Roma si guadagna, perlomeno, la possibilità di meritarsi il derby fino alla fine, per ritmi e occasioni create. Questo purtroppo non finisce in nessuna graduatoria, quindi è un discorso che si perderebbe come le proverbiali lacrime nella pioggia. 

Sussulto laziale con Milinkovic alla battuta rasoterra dalla distanza. Fuori.
Per i minuti di recupero Fonseca conta anche su Pastore, redivivo, in luogo di Veretout, tornato oggi all’efficacia del moto perpetuo. 

Finisce così. Derby meritato ma non vinto. Succede. È, però, un investimento sull’autostima. Non una cosa da poco. 

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