La trasformazione dei calciatori da bandiere a voci di bilancio. Il valore sportivo non conta più
(LA REPUBBLICA, Nicoletti) I nostalgici si lamentano che i calciatori non si immedesimano più nei club per i quali giocano e che non ci sono più le bandiere. Gli innovatori, talvolta presunti, osservano che è una inevitabile evoluzione del mondo dello sport. Le analisi sociologiche dicono che le nuove generazioni si sentono spesso più legate a un singolo giocatore che ai colori di una squadra. Su un punto però tutti sembrano concordare: gli interessi finanziari hanno un impatto sempre maggiore e finanche il fantacalcio presuppone conoscenze economiche pari a quelle sportive.
Con un paradosso: nel fantacalcio il valore dei giocatori è legato alla prestazione sportiva più di quanto accada nel mercato reale dove il rapporto fra il valore del giocatore e la sua performance sembra talvolta perdersi. Paradosso che crea allarme, se è vero che il fenomeno delle plusvalenze sui calciatori compravenduti è in continua crescita in Italia, dove nel periodo 2018/2019 le plusvalenze iscritte nei bilanci dei club sono di 717 milioni di euro, tanto da fare temere che vi sia una bolla che maschera il reale stato di “benessere finanziario” del nostro calcio. A conferma di ciò, è sufficiente osservare che in parallelo all’incremento delle plusvalenze si assiste ad un incremento dell’indebitamento. Il dato evidenzia un aspetto delicato della contabilità legata ai calciatori: quando il valore di un giocatore è determinato attraverso lo scambio con un altro giocatore si ha un aumento “formale” dei ricavi, senza che tale aumento generi liquidità. Esiste però un’altra distorsione indotta dall’applicare ai calciatori regole di bilancio pensate per asset i calciatori provenienti dal vivaio, anche se campioni, sono iscritti a valori irrisori mentre un calciatore acquistato, che magari non mantiene le aspettative, è iscritto al costo.
Secondo questa logica puramente contabile, il valore di bilancio del parco giocatori del Barcellona di Xavi, Iniesta, Piqué, Messi sarebbe stato inferiore a quello di altre squadre molto meno forti. Eppure, nonostante questi paradossi, trattare i giocatori come poste contabili è un errore a cui ci siamo così abituati che i club scelgono quale giocatore comprare, o vendere, anche in base alla politica degli ammortamenti e al rapporto costi-ricavi, dimenticando troppe volte di valutare l’effettiva utilità dell’atleta rispetto al progetto; e il calciomercato è diventato esso stesso una competizione, che attribuisce scudetti, alternativi a quelli del calcio giocato; e persino i tifosi esultano alla realizzazione di una plusvalenza tanto quanto alla realizzazione di un gol.
Le conseguenze di questi fenomeni sono sociali ma anche economiche: perché seguendo tali logiche la gestione dei club peggiora, i risultati sportivi non arrivano e si rischia di indebolire il valore del marchio e l’identità del club, dimenticando che le squadre hanno come scopo la produzione di uno spettacolo, il gioco del calcio, e il conseguimento di un risultato, la vittoria. La trasformazione dei giocatori da bandiere della squadra a poste contabili rischia di trasformare le società da club sportivi a società commerciali che svolgono in via prevalente trading di beni, che nel caso di specie sono giocatori, i quali al trading devono prestare il loro consenso, cosa che fanno in cambio di una remunerazione aggiuntiva. E così oltre all’inflazione del valore dei giocatori, si rischia l’inflazione dei loro stipendi e delle mediazioni per gli agenti, con dispersione di risorse che sarebbero meglio utilizzate in altri investimenti. Alla domanda perché non si possa sconfiggere un club più ricco, Johan Cruyff rispondeva “I’ve never seen a bag of money score a goal”, non ho mai visto un sacco di soldi segnare un gol. Dovremmo tutti convincerci che è ancora più improbabile che a segnare un gol possa essere una posta di bilancio.