ACCADDE OGGI… 27 aprile: cinque anni fa moriva Vujadin Boskov
(CORRIERE.IT) Sono passati cinque anni dalla scomparsa di Vujadin Boskov, uno degli allenatori più simpatici e amati che ancora adesso continua ad essere fonte d’ispirazione.
Solo Vujadin Boskov poteva presentarsi in sala stampa dopo aver preso 6 gol (a zero)e, visto che nessuno aveva il coraggio di fare la prima domanda, cominciare lui con «è meglio perdere una volta 6-0 che sei volte 1-0». Oppure, dopo aver battuto l’Inter a San Siro e avere blindato l’unico, storico scudetto della Samp, spiegare così la figura dell’allenatore: «Siamo accompagnatori ben pagati, possiamo incidere fino al 10 per cento in positivo, fino all’80 in negativo. È la legge del calcio: i giocatori vincono, gli allenatori perdono». Con lui se ne è andato un altro di quei signori del calcio che sapevano vincere (molto spesso), perdere o pareggiare senza rinunciare alla battuta.
Lavoratori rigorosi e uomini sorprendenti per ironia e capacità di sdrammatizzare anche le situazioni più complicate, come Nils Liedholm e Nereo Rocco. Vujadin, serbo di Begec, un paesino a 15 chilometri da Novi Sad, iniziò la sua carriera di mezz’ala da 57 presenze con la Jugoslavia a 19 anni, nel Vojvodina, prima di trasferirsi alla Sampdoria (una stagione, solo 13 partite e 1 gol) e di chiuderla in Svizzera, allo Young Boys, dove, smesso di giocare, nel ‘62, si sedette in panchina iniziando a elaborare la sua ricetta dell’allenatore perfetto che doveva essere, allo stesso tempo, «un maestro, un amico e un poliziotto».
La Svizzera, il ritorno al Vojvodina, poi la nazionale jugoslava, l’Olanda, la Spagna e il Real Madrid e nell’84 l’Italia, ad Ascoli, chiamato da Costantino Rozzi per sostituire Mazzone. Non salvò la squadra dalla retrocessione ma l’anno dopo vinse il campionato di B e passò alla Sampdoria di Paolo Mantovani, di Vialli e Mancini, dove compì il suo capolavoro. Uno scudetto, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa italiana e una finale di Coppa dei Campioni giocata a Wembley, persa ai supplementari con il Barcellona. Poi ancora Roma, Napoli, Servette, di nuovo la Samp, il Perugia e ancora la Jugoslavia. «Se mettessi in fila tutte le panchine che ho occupato — disse nel 2001, a fine carriera —, potrei camminare chilometri senza toccare terra». Amava il calcio offensivo e i giocatori di talento, e nella sua Samp scudettata Beppe Dossena, una mezz’ala, giocava spesso terzino sinistro. Fu complice di Vialli e Mancini, quasi più suoi figli che suoi giocatori. E appena arrivò alla Roma fece esordire il 16enne Totti.
Riusciva a fare polemica facendo sorridere anche il bersaglio delle sue parole. Celebre quella con il Genoa (di Scoglio) che aveva ingaggiato l’uruguaiano Perdomo. «Il mio cane gioca meglio di Perdomo», dichiarò facendo infuriare sopra tutti il suo presidente, Mantovani, che lo multò e lo obbligò a chiedere scusa. Scuse da fuoriclasse: «Non volevo dire che Perdomo gioca peggio del mio cane, solo che può giocare a calcio nel giardino di casa mia con il mio cane». Oppure altri passaggi indimenticabili: «Pallone entra quando vuole Dio», «la partita finisce quando arbitro fischia» «Gli allenatori più bravi di Boskov sono quelli che stanno sopra di lui in classifica».