LAZIO-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – “Co’ chi avemo perso!” disse Totti dopo il 3-0 subìto nel 2006 dalla Lazio di Siviglia, Zauli, Cribari e Mutarelli. Una squadra non tanto peggiore di quella che ha battuto i giallorossi ieri sera: demerito quasi totale della Roma quindi, piuttosto che particolari meriti dell’avversario, in queste due sconfitte simili.
Il derby ha una regola fondamentale: il gioco delle figurine non vale. Il gap tecnico si compensa col furore agonistico: se la squadra più forte (storicamente la Roma, nel 90% dei casi) non mette da parte la presunzione e si affida alla rabbia, sommata alla forza tecnica, non va da nessuna parte.
Prima di venire ai nostri (tanti) problemi: a parti invertite, il rigore che chiude la partita avrebbe portato a una manifestazione contro i “poteri forti” e (di nuovo, dopo Lazio-Torino) a trasmissioni con il logo “il calcio è morto”. Per la cronaca, rigore numero 77 per la Lazio negli ultimi 10 anni: i biancocelesti sono secondi col Napoli e dietro al Milan in questa speciale classifica.
Molle, la Roma, dicevamo: in un approccio apparso subito – incredibilmente – sbagliato; nei contrasti spesso e volentieri persi. E ingenua: il goal dell’1-0 ha connotati parrocchiali, per quanto imbarazzante.
Lancio lungo a scavalcare la difesa avversaria: gioco scolastico e fruttuoso quando di fronte trovi una difesa così, con un centrocampo che quel lancio te lo concede sempre.
Potresti pareggiare e si sarebbe parlato di un Di Francesco geniale, visto l’ingresso di Pastore, che sfiora l’1-1; invece l’argentino, che danza a passo di tango mentre intorno a lui c’è un concerto heavy metal, dà ancora una volta –purtroppo – ragione a tutti noi, sbigottiti per il suo ingresso in campo.
Si deve segnare e va bene, De Rossi non regge i 90’ ed è un problema enorme, vista l’alternativa Nzonzi: ma, così facendo si è prestato ulteriore fianco all’avversario, quando mancava ancora mezzo tempo più recupero al termine della sfida.
Mentre scriviamo, ecco l’indiscrezione dell’ennesima “ultima spiaggia” per Di Francesco, insieme al mancato ritiro anticipato in vista di Oporto. Si naviga a vista, come da troppo tempo a questa parte.