PENSIERI E PAROLE di Paolo MARCACCI
Non lo nomineremo, perché il suo nome, anzi il suo cognome lo si pronuncia già un po’ troppo spesso; come se fosse diventato un mantra romanista che racchiude al tempo stesso speranze di futuro radioso e timori da autoflagellazione preventiva. Mi spiego meglio: è l’uomo della provvidenza giallorossa, ne abbiamo riconosciuto le stimmate; proprio per questo, uno così è destino che prenda il volo al più presto: ce lo insegna la storia recente.
Ecco, in sintesi, estrema sintesi, gli umori attuali.
Poi, come se non bastasse, è spuntata la “Mozione n. 10”, per dire che quella maglia avrebbe finalmente trovato un erede. Nel condizionale, tutta la nostra cautela nei confronti di sogni e ambizioni: persino noi romanisti dopo le ultime stagioni ci siamo caricati addosso il contrappeso della disillusione. Per cautelarci, per proteggerci, perché ne abbiamo viste troppe, viste sfumare ancor di più.
Ma è pur vero che la vita è adesso, come dice il poeta e adesso è un presente carico di soddisfazione: se non per i risultati, per ciò che in lui abbiamo riconosciuto. Ben sapendo quanto sia pericoloso affezionarci, quanto ci si debba sforzare di essere cinici con noi stessi. Si chiama istinto di auto conservazione, in natura; anche se nulla sembrerebbe più naturale del pensiero di aver trovato un altro Pietro su cui edificare la chiesa romanista del futuro, senza essere blasfemi e senza rievocare lo spettro dialettico di Rudi Garcia.
Come se ne esce? Solo vivendo, sempre a proposito di poesia spicciola, ossia godendocelo fino a che la nostra maglia non dovesse iniziare a sbiadire, addosso a lui: se non altro, siamo diventati bravissimi a capire quando arriva il momento in cui bisogna dire ai nostri bambini che quella figurina dovranno staccarla dall’album. Proprio per questo, la maglia numero 10 non gliela farei indossare e se non la farei indissare a lui, di conseguenza non la darei a nessuno: per noi è il simulacro di tutto quello che a livello di appartenenza, tralasciando per un attimo la sfera tecnica, non ci potrà più accadere. Sic.
Nel frattempo, siccome nemmeno a noi piace riempire la bacheca del masochismo, non dovremmo fare altro che godercelo, perché uno così se lo godono persino gli altri, figuriamoci chi ha la fortuna di averlo. Fingendo distrazione di fronte agli elogi che riceve; fischiettando per distrarci quando lo si nomina più di un paio di volte quando discutiamo coi nostri correligionari; addirittura pensando che Di Francesco potrebbe non schierarlo fra i titolari in qualche occasione. Al tempo che verrà chiediamo di smentirci, di sorprenderci, di mostrarci che una tendenza si può invertire, persino da queste parti. Ed ecco che ci son caduto anch’io, alla fine: dopo tutta una serie di premesse razionali, improntate al più saldo realismo, mi ritrovo a pensare “pensa se restasse…”
Sconfitto dal caos dei miei stessi umori, non mi resta allora che salutarvi, al colmo della mia incoerenza: vinceremo il Tricolor.