Di Francesco, la svolta dopo Firenze tra autocritiche e un modulo garanzia
(IL MESSAGGERO, Carina) Dall’esplosione di Zaniolo passando per lo Dzeko formato europeo, si dimentica che nella rinascita della Roma (che ha ottenuto 10 vittorie negli ultimi 19 match di Champions: mai accaduto nell’era Usa) c’è molto di Di Francesco. Sì, proprio Eusebio, quello che «non aveva nemmeno la dignità di dimettersi» (accusa mossa soprattutto sui social) nel post Firenze. Premessa: non bastano certamente un pareggio con il Milan, un successo con l’ultima in classifica (Chievo) e la vittoria di misura con il Porto, per dimenticare il clamoroso 1-7 con la Fiorentina. Ma forse, proprio quel giorno c’è stata la svolta della stagione. Della serie: all’inferno e ritorno.
Nel day-after, mentre Monchi faceva scudo al tecnico, Eusebio ha infatti capito che serviva qualcosa di diverso. E poco importa che il diverso rappresentasse un ritorno al passato. Del resto il passaggio al 4-2-3-1 (dopo il ko di Bologna, 23 settembre) era arrivato in un momento dove la sua posizione era molto debole. Oltreoceano Pallotta si professava disgustato mentre in loco le difficoltà di Pastore – fiore all’occhiello della campagna acquisti estiva – facevano sì che tifosi e media chiedessero a gran voce l’abbandono del 4-3-3, proprio per esaltare le caratteristiche dell’argentino.
RITORNO ALL’ANTICO Senza contare che la squadra, in palese difficoltà tra l’innesto dei nuovi e l’addio di Nainggolan e Strootman, aveva in quel momento bisogno di sentirsi maggiormente protetta: via libera quindi al tandem Nzonzi-De Rossi, più il trequartista. Rimedio che a dispetto di un avvio promettente, a lungo andare ha palesato i suoi limiti. Si torna così alla vigilia del match con il Milan. Per una volta, non avere la rosa completamente a disposizione (Cristante e Nzonzi erano squalificati) ha aiutato Di Francesco a prendere la decisione: ritorno al 4-3-3. Quasi a dire: se devo affondare, lo farò con le mie idee.
Questa scelta ha di colpo regalato l’equilibrio perduto, anche perché la squadra – nelle ultime uscite in difficoltà a livello di corsa – è sembrata di colpo meno lunga. Ritrovato il canovaccio, anche grazie alla ritrovata disponibilità del gruppo, il resto è stata la logica conseguenza: anche cambiando gli interpreti, la sostanza è rimasta la stessa. Così a Verona, Nzonzi ha sostituito Daniele e Cristante ha preso il posto di Pellegrini con Zaniolo a completare la mediana. I due gol dopo 18 minuti hanno messo la gara in discesa. Con il Porto, invece, il ritorno all’antico ha riguardato anche la scelta degli uomini: Florenzi terzino, mediana italiana con De Rossi, Pellegrini e Cristante e stavolta Zaniolo spostato alto nel tridente, a destra.
Squadra matura che ha concesso poco e nulla, dimostrandosi finalmente cinica. Domanda lecita: cosa è cambiato rispetto all’inizio della stagione quando sembrava invece che la rosa fosse più adatta al 4-2-3-1? Semplice: risolto l’equivoco Pastore, Eusebio può ora contare sul ciclone Zaniolo, sul recupero di alcuni interpreti (Schick ma soprattutto Karsdorp che, al netto dell’ultimo ko, permette all’occorrenza un diverso utilizzo di Florenzi) e sulla conferma dell’ottimo Pellegrini. Non dimenticando che Cristante, pagato lo scotto dell’ambientamento in una realtà diversa rispetto a Bergamo, sembra un altro giocatore con Nzonzi che può adesso alternarsi a De Rossi. E non affiancarlo.