ATALANTA-ROMA. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI
Partiamo dalla fine del primo tempo, sovvertendo le linee cronologiche della partita, per fornire subito l’idea di cosa siano stati i primi 45’ e dell’intensità complessiva della prima frazione di gioco: se è molto probabile che l’Atalanta abbia meritato perlomeno una rete (come pressione complessiva, non per la nitidezza delle occasioni), quella che arriva rocambolescamente con Castagne allo scadere, è certo che la Roma meriti tutti, ma proprio tutti i suoi, con tutta la nitidezza che c’è oggi nello sviluppo delle proprie azioni e nella capacità di mostrarsi glaciali in fase di conclusione di Dzeko (sia nel cuore dell’area che in progressione con tanto campo davanti) e di El Shaarawy.
Zaniolo, sempre il petto in fuori: non soltanto per l’assist intelligentissimo e pregiato per il gol con cui Dzeko sgretola subito lo zero a zero, ma per la regalità, unita a una naturale potenza, con cui riesce a “chiamare” su di sé sempre lo sviluppo dell’azione. Non vorremmo fare paragoni, sapete perché? Perché ce ne vengono in mente di straordinari.
Qualcuno, nel frattempo, catechizzi Rick Karsdorp, spiegandogli che in Italia risulta fondamentale quella cosuccia che è la fase difensiva e che in un campionato così scorbuticamente tattico come il nostro certe scelte avventate in fase di copertura le paga tutta la squadra, a maggior ragione contro un maestro come Giampiero Gasperini.
Tanti i gesti tecnici pregevoli e da incorniciare nel primo tempo; nella difficoltà della scelta chi scrive elogia in particolare la naturalezza del tracciante in diagonale con cui Steven ‘N’Zonzi lancia Dzeko verso il raddoppio. Non è un regista, il francese, perché questa figura manca nella linea mediana della Roma; è però uno dei migliori geometri di centrocampo cui si potesse aspirare, in mancanza di un architetto.
Sotto un clima che da italiano settentrionale si è fatto quasi europeo continentale, va in scena una ripresa che vede inizialmente gli stessi undici romanisti che hanno disputato il primo tempo.
Atalanta a trazione integrale, oltre che orgogliosa.
Quando Toloi svetta su Marcano, scommettiamo che in tante case romaniste scatti all’unisono il privebiale autolesionismo romanista a base di vedovanza e rimpianti a prescindere. Stavolta sarebbe anche ragionevole, peraltro, ma non può certo essere questo il problema, nel momento in cui il colpo di testa del centrale che fu di Rudi Garcia riapre di fatto la partita.
Riflettiamo sempre su quanto siano evitabili certi cartellini, a cominciare da quello che Manolas rimedia nel primo tempo, per poi arrivare a quelli di Cristante e ‘N’Zonzi, che di fatto precludono due scelte importanti a Di Francesco per Roma – Milan.
Kluivert per El Shaarawy, minuto 62.
Minuto 68: il VAR toglie il cartellino a Ilicic e dà il giusto rigore all’Atalanta. Anzi, a Zapata, la cui zaMpata finisce alta. Buon segno, se non fosse che la storia della Roma riesce sempre ad andare oltre se stessa: stavolta con la sottile deviazione con cui Manolas spiazza Olsen quel tanto che basta due minuti dopo. Zapata, dicevamo.
Che atteggiamento è diventato quello della Roma, nel frattempo? Interrogativo pesante, nell’ultima parte di una gara che sembra aver rovesciato giudizi e destini.
Fazio, più o meno febbricitante, per Karsdorp al minuto 78. Che segnale è quello inviato a Gasperini?
Sta diventando un punto guadagnato, nel frattempo: è un giudizio pesantissimo, questo, sia ben chiaro.
Un secondo tempo quasi del tutto rinunciatario, disputato girando a vuoto, non stimolato nemmeno dall’errore di Zapata dal dischetto, come abbiamo già visto.
Finisce tre a tre ma con l’Atalanta che chiude meritandosi la vittoria, se non altro perché non ha mai smesso di cercarla.
Di chi sono le colpe, per questi due punti che si sono liquefatti assieme al nevischio di Bergamo, mentre anche Olsen deve metterci i guanti, fuorigioco a parte? È un discorso collettivo, quindi di mentalità, oltre che di tenuta atletica alla distanza. Di conseguenza, anche e soprattutto di guida tecnica.