ROMA-GENOA. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI
Dopo Cagliari e Plzen, stasera la Roma torna a casa; solo che viene accolta in modo un po’ differente da come verrebbe accolta Marlena dei Maneskin.
Viene da chiedersi, del resto, perché Marlena dovrebbe ripresentarsi proprio stasera, tra aghi di pioggia e sibili di contestazione. Potremmo rispondere che stasera ha particolarmente senso esserci, nella maniera che ognuno predilige, perché stare vicino alla Roma può anche voler dire essere arrabbiati, anzi incazzati neri con lei. Indifferenti, mai: non fummo programmati per questo, altrimenti avremmo scelto altri colori, magari a tinte opache, come quelle di chi si abitua.
Se le papere si chiamassero Marlena, stasera ce ne sarebbe più di una, VAR o meno.
Bisogna dire che a volte la manovra (?) della Roma è più contorta di un verso di Sfera Ebbasta, senza capire quale delle due parti potrebbe querelare per prima per l’accostamento.
Il 3-2 di Cristante è perentorio, nella conclusione, ma non certo liberatorio: troppa, diffusa fragilità, per dire che La si porterà a casa. Sarebbe come affermare con certezza che Marlena si ripresenterà per Natale.
Si ferma la pioggia, rallenta la Roma, prova a palleggiare il Genoa, pur senza Sandro, ora seduto accanto a Prandelli.
Quando entra Schick, al posto di Giustino, qualche applauso scalda le mani dell’Olimpico: un po’ perché è Natale, un po’ perché il sapore dei tre punti fa gola, come il pandoro messo in forno dopo aver preso freddo.
Passare dall’agonia alla convalescenza è pur sempre un passo avanti; però è ancora nulla rispetto a ciò che questa gente merita.
È tornata la vittoria; è presto per dire che sia tornata anche la Roma.