VIKTORIA PLZEN-ROMA. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI
Così è, se vi pare. Ma non c’entra Pirandello; è questione di realtà impensabili fino a qualche settimana fa, divenute ora tangibili, come i fiocchi di neve che volteggiano attorno a Plzen e che prodigiosamente sembrano spegnere il lumicino d’agonismo romanista, mentre al tempo stesso il freddo della Repubblica Ceca stimola la circolazione di palla degli uomini di Vrba.
Per chi stanno giocando i giallorossi? Che lo facciamo innanzitutto per loro stessi, se proprio vogliono deporre a favore del loro allenatore.
C’è poco più di nulla in un primo tempo in cui le due compagini si pizzicano a vicenda sui rispettivi vacillamenti difensivi; sembra che il punto di vista romanista sia quello di chi sta timbrando un cartellino europeo, come se il decoro non esistesse, visto che nessun contratto lo sigla.
Il secondo tempo? Dobbiamo proprio? È come se andasse in onda il teorema alla rovescia di Al Pacino: mollando un centimetro alla volta, Santon in testa, alla fine tutti quei centimetri porteranno a una nuova figuraccia.
Ha senso parlare di nomi? La Roma è quasi quella migliore possibile, nonché immaginabile visto tutto ciò che pregiudica il lavoro di Di Francesco tra polpacci e altri gruppi muscolari; anche su questo aspetto, tra l’altro, mai piena luce è stata fatta, giustificando l’ennesimo andazzo.
Marcano, perché sei tu Marcano?
Altro che Romeo.
Schick nemmeno a casa sua si sente a casa sua, con questa maglia indosso, come se prima di questi fiocchi delicati si fosse sciolto il ricordo illusorio di quel gol alla Sampdoria, poche settimane che sembrano un secolo fa.
E il cronista alza la voce su un diagonale di destro di Cristante, come se cercasse l’acuto di un piatto encefalogramma.
Volenterosi, i giocatori di casa si aggrappano con ogni parastinco alle loro velleità residue, ai loro due gol inframmezzati da una traiettoria di Ünder incurvata dalla mera casualità.
Kovarik e Chory valgono un’impensabile Europa League? Di certo la Roma dispensa più quarti d’ora di celebrità di Andy Warhol.
Luca Pellegrini, la rabbia senza il mordente.
Ride a denti stretti, nel frattempo, l’uomo seduto in panchina, protetto solo da un cappellino blu, come se questo destino non fosse più il suo.