CAGLIARI-ROMA. “Storia di ieri”, riflessioni del giorno dopo…
di Diego ANGELINO – Riuscire a riproporre i due precedenti folli 2-2 in terra sarda – con Ranieri e Spalletti – era difficile: ma la Roma, si sa, aggiorna con continuità le proprie pazzie.
È successo così ieri, in una partita praticamente vinta, quando si pensava solo che il terzo posto dell’Inter distava ora 6 punti.
Ma ecco la Roma: con tutti i suoi errori e le sue contraddizioni; la sua incapacità storica di mettere a tacere avversari che – e questo è un altro paio di maniche – sono pecore con certe compagini e leoni fino all’ultimo contro di te.
I cambi, si dice: vero, sbagliati, nei limiti delle scelte che l’allenatore può effettuare in questo momento, con l’infermeria sovraffollata. Ma il pareggio di Sau (non segnava da una vita, of course), con la difesa schierata, può essere addebitato ai cambi?
Il 2-1 sì, perché togliere il centravanti, pur non brillante, per mettere un giocatore con una mobilità ridotta a fare l’attaccante è scelta priva di logica.
È proprio Pastore che non arriva sull’angolo spizzato da Joao Pedro sul primo palo (appena effettuata la sostituzione, praticamente): lì dove di solito è Džeko; lì dove sarebbe stato Schick con i suoi centimetri ad allontanare quel pallone.
Tant’è: fatta la frittata in una gara che non sei riuscito a chiudere. Un anno fa, vista la forza dei giocatori poi venduti, eri in grado di tenere botta e chiudere spesso le partite con la porta inviolata; quest’anno il goal lo subisci sempre e quindi non puoi mai rilassarti.
Volete la testa di Di Francesco? Accomodatevi: ancora una volta concentriamoci sul dito, anziché guardare la luna. Arriverà qualcun altro, pronto a far bene qualche mese. Salvo ritrovarsi, dopo un po’ e dopo le ennesime cessioni già in cantiere, come nuovo “scemo del villaggio”.
Lette le solite parole vuote di Pallotta, attediamo, con fiducia e impazienza, una presa di responsabilità di dirigenti e consulenti dimissionari vari.