ROMA-REAL MADRID. A PRIMA VISTA… di Paolo MARCACCI
Tutte in fila, una accanto all’altra, come colonne che reggono il tempio della nostra fede, le figurine che ormai non hanno più nemmeno età: da Bruno Conti a Giacomo
Losi, da Francesco Rocca a Giuseppe Giannini, si confondono anche le linee del tempo, quando la Roma racconta se stessa.
Poi arriva Falcão, con in mano lo scettro di sempre, che quel tempo lo cambiò, per sempre. E infine chiamatela Hall of Totti, o Totti of fame, che ancora in cuor mi piange, scrisse un poeta, quel 28 maggio.
Dove vanno tutti i nostri ricordi? Alti sopra la traversa del presente, come quel pallone di Ünder che chiude il tempo, tra bestemmie d’incredulità. E un po’ ti fomenti e ancor più t’arrabbi, perché il romanista vero gode nel vedere il Real – quasi – alle corde; il romanista autentico maledice L’indolenza di Udine, al confronto.
Da quanto tempo non proviamo l’ebbrezza di vedere un pallone sul dischetto, davanti al portiere avversario? C’era un rigore pure oggi, una mano come una racchetta, un’altra protesta solamente abbozzata.
Quanto il Real potrebbe far male? Più o meno quanto il bene che fa Manolas ogni volta che un suo recupero strangola lo spiraglio altrui.
Zaniolo fa cose all’occorrenza egregie, con una lucidità inversamente proporzionale agli anni che può tenere ancora in tasca.
Fazio mio, che m’hai (ri)combinato, come se a Bale servisse poi il pretesto. Svantaggio che apre il tempo e chiude lo stomaco, pur in un girone che non può più far male, però può complicare l’urna del futuro.
Ditemi di Schick, voi che potete, che a me sembra più improbabile della letterina che Babbo Natale dovrebbe scrivere a Salvini; col movimento spesso giusto ma il piedino timido, delicato come i pallonetti che altrove dispensa.
Courtois è già lungo quanto basta per arrivare dove vuole, non occorre che Giustino gli scarichi addosso più di un’occasione tra quelle che gli capitano, perché un Real che annaspa si ricorda proprio di sera di essere il Real, pericoloso quanto il calo della Roma, più testa che gambe. E infatti Vázquez scrive un raddoppio comodo davanti a Olsen, il quale poi evita il terzo e pure il quarto, come fosse improvvisamente aria d’imbarcata, tra gli olé del settore ospiti, i fischi di un Olimpico che ora si specchia nella rituale frustrazione di un anno che sembra fatto per spezzare sul nascere qualsiasi entusiasmo.
Quando Di Francesco lo richiama, N’Zonzi si becca i fischi che sono di tutti, dalla panchina in su.
Succede davvero poco, dal settantesimo in poi: per motivi diversi si fermano entrambe le squadre, col fastidio del cronometro che sembra raggelare i minuti che mancano. Si muove soltanto l’ugola della Sud, indomita nel canto, mentre il vento rivela una luna a metà, come sembra essere questa stagione.
Applausi per Luka Modrić, quando esce. Chimere dal calcio altrui.