DI FRANCESCO “La semifinale con il Liverpool il mio rimpianto”
Eusebio Di Francesco è il protagonista dell’ultimo appuntamento di ‘Coast to Coast’ di Roma TV. Queste le sue parole:
Come va questo ritiro?
La differenza è che a Trigoria lavoravi a casa, con continuità. Qui gli spostamenti creano un pochino di problemi negli adattamenti degli orari. Però dopo l’esperienza dell’anno scorso sono migliorate molte cose: nelle strutture e nella programmazioni degli allenamenti siamo stati facilitati. Sono contento, al di là che è un po’ lunga.
Molti giorni di allenamento.
Siamo tornati ai ritiri di una volta, quando era normale fare il ritiro di quattro settimane. Solitamente avevamo i portatovaglioli in carta e noi sopra segnavamo i giorni di ritiro. Ogni giorno c’era una X, io l’avevo in camera, sul muro.
Sembra che ogni giorno c’è la curiosità di vedere se tra i giocatori è rimasto qualcosa del giorno prima.
È un po’ come a scuola,credo che l’esercizio serva per migliorarsi: la ripetitività migliora, è un concetto che vale nella vita ma anche nel calcio. Può sembrare noioso, ma i ragazzi capiscono è che la continuità degli allenamenti porta a migliorare e a crescere, e allo stesso tempo avere quella completezza di squadra, quella conoscenza di ognuno di loro e dell’allenatore per le situazioni che si verificano in partita. Chi magari non ha occhio calcistico non vede l’ora di vedere la partitella, ma questa nasce da un percorso fatto in precedenza, da quello che tu proponi dalla base, dall’ABC per poter far bene le partite. Per me è normale, è ovvio che io, giustamente, faccio questo lavoro e cerco di farlo con passione. Mi piace saper trasmettere i propri principi. La cosa più bella è quando vedi che gli insegnamenti vengono recepiti e vengono trasformati in quello che vorresti tu: è una cosa bella. Significa che sei entrato nella loro testa
Alla fine dell’allenamento lei dedica qualche attenzione in più ai ragazzi…
Per me è una cosa normale, mi viene naturale. Perché i ragazzi hanno bisogno, chiedono, sono curiosi. Ma succede anche con i grandi: non lo fanno in campo per non farsi vedere ma chiedono dettagli ugualmente. Questa è un segno della crescita del calciatore moderno, al quale non si può chiedere un qualcosa senza senso. Il calciatore chiede e vuole capire ed è il primo a giudicarti. Quando dico spesso di crescere dentro Trigoria, vuol dire anche questo: per poter trasmettere determinate cose bisogna entrare prima nella testa del gruppo e dei ragazzi.
I giocatori si fidano di lei: c’è un rapporto di fiducia e onestà. È la base del suo lavoro
Si va come di padre in figlio: la coerenza e la capacità di essere se stessi per loro è importante. Come i giocatori ti giudicano per quello che proponi, ti giudicano anche per come ti comporti e per quello che dici. Bisogna avere massima attenzione in questo. Si deve creare quell’alchimia ed empatia tra squadra e allenatore che è fondamentale. E’ difficile portare avanti determinati discorsi senza tutto questo. Magari può andare anche bene, ma nell’insieme generale non mi piace fare ai ragazzi quello che a me non piaceva subire da giocatore. L’esperienza che ho fatto mi hanno portato a volte ad essere un po’ più duro e un po’ meno duro, riesco a modulare tutto questo.
Di Francesco in campo è tosto sia con i giovani, sia con i senatori. Un retroscena: lo scorso anno lei a un calciatore chiese quanti anni aveva. Alla sua risposta, 18, replicò “Non me ne frega un cazzo, l’esercizio va comunque fatto bene”
Tutti devono far bene. Ognuno di noi deve saper sfruttare un’occasione a tutte le età. Nel calcio puoi avere 35 anni come De Rossi, o 21 come Under, ma devi quotidianamente dimostrare il tuo valore. L’impegno e la serietà. Quando scendiamo in campo per l’allenamento dico sempre ai miei ragazzi: “Prima e dopo si ride, ma durante gli allenamenti mai”. Voglio grande serietà e disponibilità, bisogna stare sempre sul pezzo. Se non sei concentrato è la fine, come a scuola. Noi facciamo un lavoro e siamo dei professionisti, oggi siamo qui, un altro giorno siamo da un’altra parte. Credo poco al baciare la maglia, a queste cose che lasciano il tempo che trovano. Si deve invece amare e apprezzare ogni maglia che si indossa con grande rispetto. Quando hai una maglia addosso, devi dare il massimo: oggi sono alla Roma, mi auguro di rimanerci tanto, solo l’ipocrisia ti porta a dire di voler stare sempre da una parte… È una speranza, ma queste sono le cose più importanti che mi piace dire ai miei ragazzi. Il mio lavoro è qui come lo era al Sassuolo fatto in un certo modo. C’è sempre un percorso che ti porta a migliorare, crescere, magari anche a peggiorare.
Durante la stagione scorsa c’è stata una scelta tecnica che le ha tolto il sonno?
Credo che sia l’aspetto più positivo di tutti, quando hai troppe certezze, anche sulla formazione, c’è qualcosa che non va. Mi porto dietro qualche dubbio, vivo di questo, mi rende ancora più concentrato sulla gara. Quando penso di aver fatto una formazione già da tempo, c’è sempre qualcosa che non va. Me lo chiedo e mi è capitato tante volte, le cose sono andare a volte bene, altre meno. Se devo parlare di un rimpianto e toccare un tasto, penso all’andata della semifinale con il Liverpool. E’ stata una partita condizionata da tante situazioni… Nel calcio si parla molti di numeri, di tecnica e tattica, ma il fattore chiave di è stato molto motivazionale. Come allenatore non sono stato bravo a gestire queste situazioni e questo ha compromesso il sogno dei tifosi e dei giocatori di andare in finale. Ma posso assicurare una cosa: tutti hanno dato il massimo per provare ad arrivare l’obiettivo finale.
Si è visto, l’Olimpico alla fine applaudiva la squadra. Non capita spesso per una cosa che non è andata a buon fine
E’ stato fatto un grandissimo percorso sotto ogni punto di vista e la gente ha apprezzato anche il desiderio di voler vincere e cercare la rimonta il Liverpool. Ho il rammarico anche per quello, per quegli ultimi dieci minuti della partita, quando c’era un Liverpool allo sbando e una Roma che l’aveva messo sotto. Come noi abbiamo fatto quei 25 minuti a Liverpool, anche loro li avrebbero potuti subire. Il calcio non è una scienza esatta, c’è sempre la possibilità di poterti rifare. Questo per noi, nel nostro sport, è un grandissimo vantaggio. A differenza degli atleti che vivono per le Olimpiadi o per una corsa e poi magari la falliscono e devono restare anni ad aspettare. Da questo punto di vista siamo fortunati.