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COLPI DI SOLE di Paolo MARCACCI

Russia 2018 va finalmente in archivio con il titolo mondiale che ha preso la via di Parigi, vinto dalla nazionale complessivamente più forte, guidata da un commissario tecnico che va a raggiungere Zagalo e Beckenbauer nella elitaria galleria di chi è diventato iridato sia da calciatore che da tecnico.

Non la più bella, la Francia, però la più completa, la più adatta ad affrontare qualsiasi avversario in quanto versatile, camaleontica, catenacciara senza vergognarsene e letale nel ripartire, con un attaccante supersonico come Mbappé e un centravanti ideale per le spigolature come Giroud, bravo nel catalizzare una gran mole di palloni dalla trequarti in su, sporcandoli o ripulendoli a seconda delle esigenze.

La più bella è stata senza dubbio la Croazia, giunta in finale con nelle gambe, complessivamente, una partita in più rispetto ai transalpini, vista la quantità di supplementari disputati fino alla semifinale contro gli inglesi. Una sorpresa solo per chi segue il calcio ogni quattro anni, la nazionale “pilotata” da Luka Modric, per quanto riguarda talento ed esperienza; la vera novità sta nel fatto che il calcio figlio della ex Jugoslavia ora si è definitivamente disciplinato, senza perdere nulla della sua proverbiale cifra tecnica.

Complessivamente, che mondiale è stato? Non bello, spettacolare soltanto in maniera episodica (vedi Belgio – Giappone); soprattutto disertato dai protagonisti annunciati, sia come compagini che come singoli: il Brasile di Neymar è come se si fosse screditato dall’interno, a causa degli atteggiamenti infantili e autolesionisti della sua star inconcludente; l’Argentina si è presentata con una rosa eccelsa ma senza una squadra e meno che mai un gruppo, con l’aggravante di una guida tecnica esautorata in partenza.

La Germania è sembrata addirittura prigioniera della condizione, anomala per la sua storia, di non far parte del novero dei favoriti. Il Belgio, medaglia di bronzo, è arrivato a un passo dal dominare tutti gli eventi: sembra una costante della sua storia nelle fasi in cui dispone di una generazione di calciatori tecnicamente al di sopra della media.

Che figura avrebbe fatto l’Italia, con quello stesso gruppo eliminato nello spareggio contro la Svezia? Ovviamente non possiamo dirlo, ma vista la cifra tecnica e tattica complessiva di questo mondiale, la immaginiamo – per giocare – in mano a un tecnico come Antonio Conte: perlomeno quarti di finale, a parere di chi scrive; tanto non avremo mai la controprova.

Chiudiamo con la Francia, con la quale abbiamo iniziato: è perlomeno da un ventennio che i Bleus sono un felicissimo e vincente melting pot composto in buona parte da francesi dalla pelle più scura rispetto a quella di Lloris e Pavard, di seconda generazione, nati e vissuti mandando a memoria la Marsigliese. Forse ai tempi del nero Thuram e del magrebino Zidane non c’erano i social network e di conseguenza l’idiozia non aveva modo di dilagare all’istante, ma le lugubri e demenziali battute sulla vittoria di una nazionale “africana” ci fanno pensare che molti nostri connazionali in questo momento storico si sentano legittimati a dare il peggio di se stessi e a far sapere a tutti che forse razzisti lo sono sempre stati, solo che ora si può rivelare impunemente. Così, non hanno tifato Croazia per la classe di Modric o per la strapotenza fisica di Vida, ma per alimentare il mito della nazionale “sovranista”, rappresentata dalla bella presidente ultranazionalista e i cui giocatori negli spogliatoi intonano cori che rimandano all’epoca degli Ustascia di Ante Pavelic. Che pena, al punto tale da averci fatto provare almeno un po’ di simpatia, o meno antipatia del solito, per i francesi e per la loro grandeur cosmopolita, così distante dai nostri porti sempre più chiusi.

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