RIVISTA LA ROMA – Schegge di memoria: Davide ASTORI
La partita contro la Fiorentina sarà un momento speciale per tutte e due le tifoserie, e la mente andrà sicuramente per un momento al calciatore ma soprattutto all’uomo Davide Astori. Il Prof. Paolo Marcacci nella sua rubrica “Schegge di memoria” di questo mese rende tributo a quel giocatore che con il suo sorriso ha regalato un ricordo indelebile a tutti i tifosi, non solo quelli delle sue squadre.
Come sempre per i nostri amici digitali, un piccolo assaggio… Vi aspettiamo in edicola!!!
LA ROMA 365 – MARZO 2018
DAVIDE ASTORI: I capitani non muoiono mai…
di Paolo MARCACCI
La scomparsa di Davide Astori è stata una tragedia che ha colpito l’intero mondo del calcio. Un giocatore elegante ma, soprattutto, un ragazzo capace di farsi apprezzare dovunque per le sue riconosciute doti umane.
Restano in pochi, intorno allo stadio, quando più di un’ora è trascorsa dal termine della partita. Restano in pochi e sono quasi sempre gli stessi. Sono ancora di meno al termine di una partita in notturna; specialmente d’inverno, quando l’umidità che sale dal Tevere riesce a infilarsi sotto i giacconi e i piumini, lasciando nelle ossa voglia di bevande calde e di coperte spesse. Gruppetti sparsi di giornalisti che si scambiano le ultime impressioni, dopo aver sentito le parole dei due allenatori e prima di andarsene a cena in uno di quei ristoranti che restano aperti fino a tarda ora; tifosi che battono i piedi in attesa dell’uscita dei giocatori, che alla spicciolata lasciano lo stadio a bordo dei loro suv pachidermici o delle basse fuoriserie.
Ultimamente sono sempre gentili, con i tifosi; non escono sgommando per fuggire al timido assedio: procedono lentamente e abbassano il vetro per scarabocchiare un taccuino, o per mettersi in posa assieme a chi vuole un selfie con uno dei suoi idoli. Una sera usciva a piedi, Davide Astori; era una sera del suo anno trascorso in maglia giallorossa, sotto la guida tecnica di Rudi Garcia. Gli si avvicinò un tifoso, tra gli altri: un ragazzino che avrà avuto tredici anni al massimo. Pur nella foschia invernale che avvolge tutti i viali attorno all’Olimpico, gli si indovinavano guance paonazze, per l’emozione. Nulla di inconsueto, peraltro. Il fatto è che ancora più imbarazzato e intimidito, sembrava lo stesso Astori: con l’aria di chi ogni volta si sorprende della fama che lo circonda, del fatto che più di qualcuno si fermi ad aspettarlo al freddo, a più di un’ora dal termine di un match. Perché ancora oggi esistono – ora ci piace particolarmente usare un verbo che si è sottratto al trascorrere del tempo – giocatori che non hanno mai smesso di appartenere alla sponda opposta della passione calcistica; di frequentare l’altra riva del fiume: quella più affollata, dove stanno assiepati tutti quelli che hanno soltanto sognato di diventare calciatori, che fanno i sacrifici per permettersi un biglietto, che hanno bisogno di qualche giorno per smaltire la delusione di una sconfitta.
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