EDICOLA. Quando Sordi fece il laziale: tutte le sfide viste al cinema
LA REPUBBLICA (E. SISTI) – Indimenticabile Don Buro: «Ve arbitro io, so’ lazziale e ve odio a tutt’e due!». Andava in scena un Roma-Juventus fra tifosi nel deserto californiano e il prete De Sica, professore di storia e geografia di Vacanze in America, non poteva che mettersi a fischiare in tutti i sensi. Suo padre Vittorio un giorno disse al figlio della levatrice: «Evviva la Roma!». Ma non era la vita, era Pane amore e fantasia. Da romanisti incalliti, i Vanzina ereditarono una delle ossessioni degli sceneggiatori della commedia degli anni ’50: la Roma, la prima a stimolare «qualcosa di calcio al cinematografo», disse Mario Bonnard. Il suo Cinque a zero del ’32 era ispirato al 5-0 della Roma testaccina alla Juve. Il derby debuttò nelle sceneggiature nel ’43. In Campo de’ Fiori il barbiere Peppino De Filippo ricorda ad Aldo Fabrizi, laziale, il derby. La risposta è: «E capirai, mo’ me devi ricordà te de Roma-Lazio…». In Ladro lui ladra lei, il laziale Ettore Manni finisce in mutande allo stadio perché perde la scommessa sul derby: 4-1 per la Roma. Mentre la commedia all’italiana univa il paese raccontandone i difetti, al suo interno il calcio rimaneva una cosa molto seria e, come ricordava il laziale Nanni Loy, «assai divisiva».
Qualche set diventava curva. Mentre dirigeva Il marito, nel ’57 Nanni Loy dovette piegarsi al volere della maggioranza di soggettisti e attori: Sordi dal suo terrazzo annaffia i tifosi laziali sulle camionette dirette all’Olimpico: «Anvedi sti sfollati…!». Poi la pagherà. Sua moglie gli impedisce di andare allo stadio e lo costringe ad ascoltare (male) il derby alla radio, facendogli perdere «la panzata di Lovati e il gol di Da Costa». Sordi esibiva la Roma come fosse un amuleto. Spacciava tessere della Roma per badge sanitari (Finché c’é guerra…) e da Nando Mericoni prendeva a mozzichi in testa il pretore laziale Russo (Un giorno in pretura). Ancora si dolgono i cultori romanisti di Sordi nell’averlo visto presentarsi da laziale: una volta sola. E i cultori laziali di Montesano ancora si chiedono come abbia fatto Enrico a recitare la battuta: «A burini, a laziali..!» in Romolo e Remo (anche se alludeva alla regione Lazio dei “sabini“). Fuori dal set di Padri e figli si racconta che Memmo Carotenuto, romanista, e Franco Interlenghi, laziale, si stuzzicassero in continuazione dopo aver girato lo sketch: «Allora domenica tutti a tifare Roma!». «Casomai Lazio…!». Era destino. «Proprio non ne potevano fare a meno!», avrebbe commentato l’imparziale (apparentemente) Monicelli. Dino Risi si divertiva un mondo a cavar fuori da Vittorio Gassman il “peggio” della sua fede giallorossa: «Oddio me pija lo sturbo!», urla allo stadio il baraccato Vittorio ne I mostri dopo una rete di Piedone Manfredini. E tanto per ribadire la nevrotica necessità di “giallorosso” che contagiava Cinecittà, sempre Risi fa in modo che per due volte in uno stesso film, in piena Argentina, Gassman e Mulè chiedano: «Sai ch’a fatto a Roma?» ( Il gaucho). Ma nessuno lo sa. Poi arrivò Pippo Franco che si fece i chilometri per tifare da entrambe le curve. Ma nello stesso film. Così, tanto per non scontentare nessuno.